Contro le speculazioni nel sociale. Timeo Dànaos et dona ferentes

13 Aprile 2015, 11:10

“Temo i greci anche quando recano doni”, così dissero i saggi ai Troiani vedendo il cavallo che gli era stato regalato. L’avvertimento non fu colto e Troia fu conquistata dai greci, nascosti nel cavallo. E così capita che le emergenze vengono utilizzate per portare doni avvelenati.

In Italia, in Siria ed in Iraq. Doni, o aiuti, che hanno a che fare molto spesso con il dominio, le speculazioni ed il controllo piuttosto che con la solidarietà.

La retorica degli aiuti spesso dimentica di raccontare che i primi a conoscere le proprie esigenze ed a sapersi aiutare sono proprio le persone vittime delle emergenze, ed in molti casi non è necessario un intervento esterno, ma sarebbe utile solo facilitare l’autonoma capacità delle persone di sopravvivere.

Due storie raccontano meglio di ogni altro ragionamento. In questi giorni in Italia gira un documentario molto interessante, si chiama Fuori Campo e andrebbe mostrato nelle scuole. Mentre impazzano le polemiche pretestuose sui campi rom, il documentario racconta la storia di diverse famiglie rom, anche italiane da molte generazioni, che sono sfuggite alla logica assistenzialista dei campi ed hanno costruito la loro onesta e dignitosa esistenza da soli.

Lavorando, comprando casa, crescendo dei figli. È una storia istruttiva che decostruisce il principale stereotipo che affligge i rom, ovvero che sono nomadi abituati a vivere nei campi. Le migliaia di sinti italiani vivono da secoli in normalissime case. La maggior parte di quelli che vengono dall’est-europa hanno anche loro sempre vissuto in regolari abitazioni.

In Macedonia c’è anche una città a prevalenza rom, non un campo. Poi le guerre e la povertà li hanno spinti verso l’Italia, dove sono diventati d’ufficio nomadi. Magari per far arricchire un articolato sistema assistenziale, di cui l’inchiesta Mafia Capitale ha mostrato solo un assaggio. Ma che veniva denunciato da tempo, e che era pronto ad intervenire ad ogni emergenza come già accadde nel caso dei tunisini dopo il 2011 e fu denunciato ampiamente dai movimenti sociali. I milioni spesi sino ad oggi hanno creato dei ghetti e tanto odio verso i rom. E non hanno in alcun modo aiutato i rom stessi a costruirsi autonomia.

A Secondigliano uno degli insediamenti è vicino al supercarcere e alle vele. Sotto una tangenziale. Un luogo dove non possono che crescere frutti avvelenati. La storia di Sead Dobreva raccontata nel documentario parla proprio della fuga della sua famiglia dalla ex Yugoslavia, poi dal ghetto di Scampia e la rinascita a Rovigo. È la storia di una ribellione ad un destino ed ad uno stigma.

Per fare semplicemente ciò che vorrebbero fare tutte le persone, costruirsi un’esistenza. Senza alcun aiuto dallo Stato, se non quelli riconosciuti a tutti i cittadini che vivono e lavorano onestamente. Sead oggi lavora in fabbrica, è delegato sindacale ed attivista per i diritti dei rom. In questi giorni si è preso le ferie ed ha portato il film al Senato della Repubblica, al Comune di Napoli ed in molti altri luoghi istituzionali dove si costruiscono d’ufficio delle gabbie per i rom, intorno alle quali spesso proliferano affaristi di vario genere.

Peraltro va sempre ricordato che i rom in Italia sarebbero circa 140.000 di cui almeno la metà sono italiani e solo una parte di loro provengono dalla Romania. La maggior parte di loro conduce vite normalissime. In Spagna sono circa 800.000, anche lì il nomadismo è un ricordo del passato.

Un altro valido esempio di auto-organizzazione arriva da Istanbul, dove un gruppo di esuli siriani ha creato un luogo di appoggio a chi sta ancora fuggendo dalla Siria. Nel 2014 sono aumentati di un milione e trecentomila i rifugiati siriani, da 2,5 milioni a 3,8. La sopravvivenza non è garantita da nessuno di fronte a crisi di questa dimensione.

E così, come spesso accade, sono le reti informali quelle che garantiscono un aiuto immediato e soprattutto arrivano dove molti aiuti ufficiali non riescono. A Istanbul è stata quindi creata Dar, la casa, un’associazione ed un luogo che si è pone l’obiettivo di far studiare i giovani fuggiti dalla Siria. E quindi li aiuta a continuare gli studi, li sostiene nella ricerca di borse di studio, offre uno spazio per far giocare e studiare i più piccoli.

Costruisce per loro un futuro e lo fa solo grazie alle offerte solidali di una rete di siriani e non che vogliono disinnescare il circuito vizioso della fuga e del trauma dei rifugiati. Nella crisi siriana l’Unicef stima che siano almeno 3 milioni i minori che non vanno più a scuola, viene chiamata la generazione perduta. Dar non ha finanziamenti, non ha grandi sponsor, ma appunto una rete di persone che fanno solidarietà. Ed i rifugiati che sono riusciti a sistemarsi un minimo ora sostengono quelli che stanno ancora arrivando, per non far perdere una generazione.

In Iraq invece un signore benestante, nella provincia di Dohuk ha dato ad un gruppo di sfollati dei suoi spazi, dove sono andati a vivere un centinaio di sfollati. Che non volevano finire nei campi profughi allestiti per loro ma preferivano essere padroni del loro destino. E si sono organizzati per vivere lì, tra mille difficoltà.

Come loro tantissimi sfollati cristiani e non solo nel Kurdistan iracheno hanno preferito allestirsi da soli dei centri di accoglienza in palazzi abbandonati, andando a dialogare direttamente con i proprietari. E preferendo auto-organizzazione e forte difesa delle propria dignità a qualsiasi assistenzialismo, anche se avrebbe portato nell’immediato maggiori risorse.

Sono diversi esempi di auto-organizzazione e mutualismo efficaci e che non vogliono subire le logiche emergenziali. È chiaro che non sempre sono risposte che riescono a far fronte a problemi enormi. Spesso è necessario un intervento esterno, strutturato, soprattutto in crisi complesse.

Ma è tempo di trasformare gli allarmismi sulle invasioni di rom, rifugiati o persone che esprimono forme di disagio in una riflessione su come dare risposte concrete e di lungo termine ed evitare di creare ogni volta nuove categorie di nemici sociali. Da discriminare o sui costruire carriere politiche o ricchi patrimoni.

E tale riflessione deve partire solo ed esclusivamente dalle autonome risposte che le persone possono e sanno dare ai loro problemi.

Domenico Chirico, Direttore di Un ponte per…