Diario dall’altro Iraq: la fuga degli Ezidi

31 Luglio 2015, 16:32

“Ho pagato sedicimila dollari per riavere con me la mia famiglia. E nonostante questo alcuni di loro sono stati uccisi sotto i miei occhi. Daesh dopo avermi mostrato cosa avevano fatto mi ha dato una sola possibilità, quella di pagare per averli indietro. Ho venduto tutto quello che avevo e ora mi trovo a vivere così, dentro una tenda. Per riaverli indietro ho dovuto vendere tutto, ma ancora non bastava. Così mi sono fatto aiutare e grazie al cielo ora sono di nuovo con me. Ci sono degli intermediari che portano i soldi e si fanno consegnare gli ostaggi. Non è solo la mia famiglia che ha subito questo in Iraq. Noi abitavamo a Sinjar ma ora solo qui mi sento al sicuro.”

E’ un racconto struggente quello di quest’uomo cui neppure ho chiesto il nome da quanto ero turbato dalle sue parole. Eppure lui era quasi imperturbabile. Occhi fissi, sguardo deciso, non un tentennamento. La ferita però rimane aperta, lacerante. Sono in migliaia che vivono accampati non lontano da Dohuk, sulla strada che porta verso Lalish, la città sacra degli Ezidi. Popolo che da sempre vive in questa parte di mondo, un po’ in Siria e un po’ in Iraq. Non sono cristiani, non sono musulmani, sono semplicemente Ezidi. E non Yazidi come si dice erroneamente. Saddam li chiamava così per affermarne la loro accezione islamica, che invece non esiste. “Di storie come queste ce ne sono a centinaia – racconta Stefano di “Un ponte per…” – ma nonostante tutto a queste barbarie non ci si abitua mai”.

Di Ivan Grozny.

In questi giorni insieme a Ivan Grozny stiamo raccontando l’altro Iraq. Quello che resiste e che scompare dalle cronache. Quello che lavora per costruire pace e dialogo. Segui il nostro diario su Facebook, Twitter e YouTube.