Iraq. Matite per scrivere un futuro migliore

1 Ottobre 2015, 14:22

Inaugurata in tempo per l’inizio dell’anno scolastico la scuola elementare per bambini cristiani ed ezidi nel campo di Ashti ad Erbil (Kurdistan iracheno), finanziata dalla Cooperazione italiana e realizzata da Un ponte per… Ne accoglierà 700 distribuiti in due turni ed è “mobile”, così che gli scolari possano portarla con sé quando faranno ritorno a casa.

 

H. è elegante nella sua camicia bianca: alto e largo quanto basta da incutere un certo timore reverenziale. Mi tira una pacca sulla spalla che mi fa quasi perdere l’equilibrio e ride di gusto con la sua voce profonda. Mi pare sia la prima volta che lo vedo rilassato nelle ultime due settimane.

Sono le 10.40 di mercoledì 30 settembre, l’inaugurazione della scuola “Seidat Al. Bishara” al campo per sfollati cristiani ed ezidi di Ashti – nel distretto cristiano di Ainkawa, ad Erbil – è a buon punto, la presentazione con i relatori sta andando bene, televisioni e stampa locale rendono l’atmosfera agitata e intensa, il pubblico segue attento.

Ancora una mezz’ora per distribuire i 700 kit educativi offerti dalla Cooperazione Italiana e da un donatore privato ai bambini che frequenteranno in questa struttura l’anno scolastico e il tempo di un piccolo rinfresco. Poi finalmente ci si potrà riposare.

Due mesi esatti di lavoro.

Due mesi da quell’ok arrivato il 1° agosto dall’Ambasciata Italiana di Baghdad, che ha autorizzato noi di Un ponte per… a riattivare un progetto di ristrutturazione di 4 scuole nell’area di Mosul, bloccato nell’estate 2014 a causa della precipitazione delle condizioni di sicurezza per l’avanzata di Daesh, a questo mercoledì mattina insolitamente nuvoloso e baciato da qualche timida goccia di pioggia.

“Scuola bagnata scuola fortunata”, penso mentre guardo i bambini che entrano per l’inaugurazione e si sistemano in classe.

Due mesi intensi. La richiesta di Padre Emmanuel, che gestisce il campo di Ashti, che ha sottolineato la difficoltà di almeno 500 bambini (ma il numero crescerà settimanalmente) ospiti del campo di frequentare le scuole: troppo lontane, troppi chilometri da percorrere. Poi l’adattamento del nuovo progetto rispetto a quello vecchio.

Il disegno, fatto e rifatto decine di volte a causa del poco spazio a disposizione in questo alveare che è il campo e soprattutto quel traliccio che corre proprio in mezzo al terreno, creando potenziali situazioni di rischio da evitare a tutti i costi andando a costruire spazi che ospitano bambini.

La “disposizione a L” che ha preso forma mi ricorda quei giochi per i più piccoli con le forme geometriche che si inseriscono nelle fessure di legno fatte apposta per ospitare solo quella forma, senza altre possibilità: “o così o così”, mi ha detto H. sudato in una calda mattina di inizio agosto, stanco per le mie continue richieste.

E così è stato. La gara d’appalto, con le lunghe procedure burocratiche eseguite a tempo di record. L’inizio dei lavori sotto il torrido sole iracheno, con temperature spesso ben oltre i 50 gradi, con gli operai che stendono colate di cemento ed innalzano prefabbricati sotto lo sguardo attento degli ospiti del campo.

E i bambini onnipresenti a entrare e uscire dal cantiere, di corsa, in bicicletta, con il pallone o con gli attrezzi degli operai, suscitando a volte l’allegria divertita e altre la comprensibile arrabbiatura di chi lavora in condizioni già abbastanza proibitive.

Le fondamenta, il primo prefabbricato che diventa magazzino, il cancello che si alza a protezione della struttura, la tettoia che proteggerà i bambini dalla pioggia o dal sole, i primi banchi che arrivano su un camion scassato; le scrivanie dell’aula di informatica che arrivano ancora da montare perché così costa meno e “tanto ci vogliono 5 minuti”; H. che ormai al secondo pacchetto di sigarette della giornata mi guarda e dice “per 150 dollari in più potevamo anche farcele montare da loro, visto che inauguriamo domani e rischiamo di dormire qui”.

La faccia degli operai quando davanti al bagno per disabili facciamo notare che “la rampa va bene, ma se poi ci mettete un gradino alla fine la carrozzina come passa?”.

Non dimenticherò facilmente questa esperienza così intensa, l’allegria che ha accompagnato questa corsa anche nei momenti più stressanti, la consapevolezza di essere parte di un progetto necessario: i bambini iscritti al nuovo anno scolastico sono già 700, frequenteranno due diversi turni, uno al mattino e uno al pomeriggio.

Il signor B., che dirige i Direttorato all’Educazione del Governorato di Ninive, sotto cui la scuola verrà amministrata, è tra i relatori quello più sorridente: i suoi baffi grigi si inarcano in un sorriso soddisfatto. R., il rappresentante di Un ponte per… in Iraq, presenta gli ospiti e modera il discorso nell’eleganza del suo vestito color crema: calmo come sempre, con ironia britannica, rende gli interventi piacevoli e finisce per essere il più intervistato dalle televisioni presenti.

Il Console Italiano ad Erbil sottolinea la disponibilità italiana ad aiutare questo paese così colpito dalla guerra e l’importanza della “costruzione di luoghi di pace, soprattutto rivolti ai più  piccoli”.

Il Direttore di Un ponte per… ricorda che da 25 anni l’associazione opera in Iraq e in particolare nel Kurdistan iracheno: non è la prima volta che si impegna accanto alle minoranze del paese, non si poteva certo tirare indietro ora che la situazione è degenerata con Daesh alle porte, e non smetterà in futuro.

N., il nostro logista, si affretta con i sacchi pieni di zainetti per i futuri alunni: contengono quaderni, penne e matite, con cui si cercherà di scrivere un futuro diverso per questi piccoli ospiti del campo, per evitare che come i loro genitori debbano assistere ad altri vent’anni di guerre e sofferenze.

I relatori li distribuiscono allegramente, i bambini cantano, anche se l’ordinata preparazione iniziale, organizzata dai collaboratori di Padre Emmanuel, lascia presto spazio a una confusione fanciullesca magari meno ordinata e comprensibile, ma sicuramente spontanea, allegra ed apprezzata.

L’immagine finale di S., della Cooperazione Italiana, che distribuisce dolci e bevande avanzate dal rinfresco ai bambini in fila indiana sotto lo sguardo severo del cameriere (“aspettate a farli entrare!”) rende anche questo aspetto “ufficiale” umano e in linea con il senso di questo progetto.

Accorciare le distanze. Unire. Superare le barriere.

Si parte dall’educazione. Si parte dai più piccoli.

Sergio dalla Ca’ di Dio, Project manager di Un ponte per…, 1 ottobre 2015