Testimonianze dal Sinjar. La storia di Yasmin

30 Aprile 2015, 10:47

Padre Gabriel Waheed Kokes Tooma (Abuna Jibra’il) è un monaco caldeo, Priore del monastero di Deve Maria ad al-Qosh, nel nord dell’Iraq. Qui centinaia di persone sfollate, in fuga dalle violenze di Daesh, hanno trovato rifugio a partire dalla scorsa estate. Ancora oggi Abuna Jibra’il fa il possibile per aiutarle, ed ha iniziato a raccogliere alcune testimonianze perché di questa crisi, una volta spenti i riflettori dell’emergenza umanitaria, resti memoria. Ecco la storia di Yasmin.

 

 

Yasim è una giovane innocente che vive con la sua famiglia, come un fiore colorato che speri di sbocciare in primavera grazie ai raggi del sole. Entusiasmo e vivacità hanno accompagnato tutta la sua vita, con sogni innocenti e grandi speranze.

Nonostante le difficoltà, è certa che il futuro le sorriderà.

Non conosce stanchezza ne’ noia, risolve ogni problema, a casa come a scuola, per diventare una donna capace di offrire al mondo amore e compassione, una nuova vita, buoni semi da piantare per il futuro.

Ma prima che i suoi sogni potessero realizzarsi, prima che potesse vedere il sole della speranza, nubi nere sono arrivate da lontano, insieme a tuoni e fulmini che hanno distrutto i sogni d’infanzia e i suoi bellissimi colori, soffocando ogni speranza e portando la morte sopra ogni cosa.

Yasmin è una ragazza che viene dal Sinjar, e che rappresenta tutte le ragazze del Sinjar.

Ha 12 anni, va a scuola e vive con la sua famiglia, composta da 7 persone. Suo padre è un poliziotto di frontiera che lavora giorno e notte per assicurare sussistenza ai suoi figli, e che difende con orgoglio e onore le porte della sua città dall’avanzata di uomini insaziabili (i miliziani di Daesh, ndt). Sua madre non è da meno, e lavora duramente per prendersi cura dei bambini con amore e dedizione, tra mille difficoltà.

Una notte di agosto, dopo aver finito i suoi compiti, Yasmin stava per spegnere la luce nella sua stanza quando all’improvviso ha sentito delle urla e degli spari provenire dall’esterno.

Sua madre è corsa alla porta di casa per vedere cosa stesse succedendo, ed è tornata nella stanza dei bambini per abbracciarli e stare accanto a loro nel caso si fossero svegliati, pregando di poterli proteggere da ogni pericolo.

Paralizzata dalla paura, non sapeva cosa fare e cosa stesse accadendo intorno a lei. Quando il sole è sorto ha capito i rischi che stavano correndo, e ha deciso di salvare i suoi figli portandoli lontano dalla morte. Ma era troppo tardi. Questa famiglia è stata intrappolata tra zanne che non conoscono pietà ne’ compassione, sono stati fatti prigioneri insieme ad altre migliaia di persone innocenti. Non entrerò nei dettagli degli orribili atti di violenza che questa organizzazione terroristica (Daesh, ndt) ha perpetrato contro di loro, o di come abbia separato donne e uomini deportandoli dalle proprie terre…

Dopo qualche giorno di prigionia gli espropri sono cessati. Yasmin – protetta da sua madre – ha coraggiosamente seguito un mercante di Tel Afar residente a Mosul, dietro il pagamento di un compenso di 100 dollari.

Un uomo non meno crudele dei miliziani, che l’ha trattata con brutalità, costringendola a convertirsi e ad abbandonare le sue credenze. Yasmin non poteva più sopportare l’orrore della detenzione, ne’ la cattiveria di quell’orribile bestia: ha deciso, con tutto il suo coraggio, di scappare in cerca di sua madre, dei suoi fratelli, di suo padre, del cui destino non sapeva nulla. Ma forse – sperava – li avrebbe trovati ancora vivi.

Una mattina Yasmin si è svegliata presto, si è tagliata i lunghi capelli, si è vestita da ragazzo. E’ saltata giù dal balcone della casa in cui era stata rinchiusa, correndo senza voltarsi indietro sulla strada da cui era arrivata.

Ha attraversato le strade e i vicoli di questa triste città, che una volta era chiamata “la città della Primavera”, ma che oggi è completamente distrutta e dove abita la paura e si riflette la tristezza dei volti di persone che si aggirano alla ricerca di un raggio di sole e di vita per i propri figli.

Al tramonto, Yasmin si è imbattuta in un anziano che stava andando in un’altra direzione, e gli ha chiesto di portarla a Shalatat, vicino Mosul, cosicché potesse eventualmente attraversare il fronte controllato dai soldati Peshmerga.

L’uomo ha subito capito l’età della ragazza, e una volta ascoltata la sua storia e cosa era accaduto alla sua famiglia ha promesso di prendersene cura. Solo a notte fonda sono arrivati alla casa di suo fratello, a cui ha raccontato la storia di Yasmin.

Ha chiamato un amico che sapeva avrebbe potuto rintracciare suo nonno, e il giorno dopo è riuscito a trovarlo, scoprendo che viveva nel villaggio di Buzan.

Yasmin è stata sul punto di morire dalla gioia quando è riuscita a parlare con il nonno, scoprendo che il resto della sua famiglia era riuscita a fuggire e a rifugiarsi da lui, a Buzan.

Yasmin è rimasta con la famiglia dell’uomo che l’aveva salvata per qualche mese, e che l’ha trattata come una figlia. L’hanno adottata dandole la residenza e un nuovo cognome. Pochi giorni dopo l’adozione, il suo nuovo padre l’ha portata a Kirkuk: grazie agli sforzi di molti amici è riuscito a darla in affidamento ai Peshmerga, cosicché potesse tornare sana e salva dalla sua famiglia di origine dopo incredibili sofferenze.

Questa storia l’ho ascoltata pochi giorni fa. E’ stata Yasmin a raccontarmela, ed ho avuto l’impressione che si stesse risvegliando dopo un lungo, indescrivibile e terribile incubo.

Tante ragazze come lei sono state vittime di questa organizzazione violenta e terrorista, vendute come prigioniere, rese schiave nelle case dei suoi membri. Un incubo che si è materializzato nell’uccisione di bambini innocenti, nella distruzione della bellezza, di tutto ciò che rappresentava la nostra cultura.

Un esercito non può combattere questa organizzazione. Ma Yasmin, la ragazza innocente che profuma come un fiore di gelsomino (“yasmin”, in arabo, ndt), la sua straordinaria determinazione e la sua fede, ci sono riuscite.

Abuna Jibra’il, monastero di Deve Maria, Al Qosh (Kurdistan iracheno) – 11 marzo 2015. Traduzione dall’arabo a cura di Lia Pastorelli, Un ponte per…

Per contattare Abuna Jibra’il: ab.gabriel@yahoo.com