L’Iraq femminista che si riprende le piazze

2 March 2020, 15:58

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Marce femministe a Baghdad e Najaf sono state organizzate contro il tentativo delle autorità irachene di tagliare fuori le donne dallo spazio pubblico. Parte attiva della Rivolta d’Ottobre sin dall’inizio, le giovani donne irachene sono scese in piazza per ribadire il loro diritto alla libertà.

di Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI)

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Le donne del Governatorato di Najaf, nel sud dell’Iraq, hanno organizzato lo scorso 19 febbraio una grande manifestazione femminista.

Le donne si sono riunite sotto lo slogan “Nessuna autorità imposta sulle donne”, per rivendicare la centralità del ruolo femminile non solo nella rivolta in corso da ottobre nel paese, ma più in generale nella società.

La marcia di Najaf è stata organizzata dalle studentesse e dalle familiari dei martiri delle proteste, e partendo dall’Università di Kufa ha attraversato per chilometri le principali strade della città, raggiungendo la piazza centrale e la sede del Consiglio Provinciale di Najaf.

Quella organizzata dalle donne è stata una mobilitazione di opposizione all’appello diffuso nelle settimane scorse del clerico sciita iracheno Moqtada al-Sadr, che aveva affermato che le donne non avrebbero dovuto essere coinvolte nelle proteste che stanno infiammando l’Iraq e le sue piazze da mesi, né interferire con la vita politica. Le donne di Najaf hanno visto questa dichiarazione come un tentativo evidente di escluderle dalla vita politica, marginalizzando il loro ruolo nella società.

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Nessuno immaginava una manifestazione femminista di queste proporzioni e di questa forza, che ha visto la partecipazione di studentesse, personale universitario, casalinghe. In una città conservatrice e religiosa come Najaf, si è trattato di una sfida diretta lanciata al potere e ai seguaci del movimento Sadrista, e ha rappresentato una significativa rottura degli stereotipi di genere che sono stati sempre associati alla città.

Gli slogan intonati dalle manifestanti hanno espresso chiaramente il rifiuto di sottostare all’autorità dei partiti politici attuali, accusati di corruzione, e del neo-nominato primo ministro, Muhammad Tawfiq Allawi. Le donne hanno sottolineato le richieste della Rivolta d’Ottobre, ed in particolare il percorso di riforma politica necessario in Iraq.

Si è trattato della prima manifestazione femminista in quel Governatorato, un luogo in cui la conservatrice comunità sciita e l’Ayatollah Sayyid Al-Sistani hanno centrato il loro potere. Anche se Al-Sistani ha mostrato appoggio verso le manifestazioni pacifiche di questi mesi, che hanno visto la partecipazione di persone di ogni età e genere, il contributo delle donne resta un tema sensibile. In una società in cui il clero e i suoi sostenitori vogliono imporre il proprio controllo sulle donne, la marcia di Najaf non è stata immediatamente bene accolta dalle autorità religiose.

Nonostante questo, le donne si sono riunite e sono scese in piazza portando immagini dei loro figli, e alzando le loro voci per affermare che continueranno a manifestare fin quando le loro richieste non saranno ascoltate.

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A guidare la marcia di Najaf la madre e le sorelle di Muhannad Al-Qaisi, martire delle rivolte, tra i manifestanti pacifici in prima linea nelle manifestazioni, brutalmente assassinato il 5 febbraio 2020 durante un attacco alla città.

Nonostante l’importanza di questa marcia femminista a Najaf, non si è trattato della prima volta per l’Iraq. Le donne irachene avevano organizzato una marcia simile il 13 febbraio a Baghdad, in risposta alle campagne diffamatorie condotte nei loro confronti da alcuni partiti e milizie. Queste donne coraggiose sono state infatti sottoposte ad abusi infondati e crudeli attraverso i social media controllati da alcune forze politiche.

Campagne che hanno avuto l’obiettivo di metterle in cattiva luce per il loro ruolo attivo nella Rivolta d’Ottobre, attraverso foto e dichiarazioni che contestavano il loro atteggiamento “non adeguato” nello spazio pubblico, e nelle piazze in cui si svolgono i sit-in.

Sulla stessa scia, Al-Sadr aveva affermato in un tweet che le manifestazioni avrebbero dovuto “osservare le norme legali e sociali del paese il più possibile”; che non avrebbero dovuto esserci contatti tra i due sessi nelle tende allestite nelle piazze pubbliche, e si sarebbe dovuto proibire l’uso di alcol e droghe. I/le manifestanti riuniti nelle strade irachene, e in modo particolare le donne, si sono infuriate.

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Sin dal primo giorno della rivolta le donne hanno infatti giocato un ruolo centrale, partecipando attivamente e dando supporto diretto alle persone ferite, occupandosi della logistica medica e non solo. Le donne hanno dato un impulso fondamentale anche alla rappresentazione mediatica della rivolta, realizzando fotografie, graffiti e attività importanti in ogni città. Come risultato della loro partecipazione, le donne irachene hanno subito la stessa repressione degli uomini: botte, uccisioni, arresti, esattamente come i loro fratelli.

Quando dunque è emersa questa campagna per metterne in cattiva luce la partecipazione, nel tentativo di privarle del diritto di partecipare, la risposta non si è fatta attendere: gli appelli sono stati diffusi attraverso i media e le donne si sono auto-organizzate in massa, chiamando una marcia nonviolenta femminista nel tunnel Saadoun, nel centro di Baghdad.

Centinaia di donne di ogni età si sono riunite nel tunnel che porta a Piazza Tahrir, cantando i loro cori tra cui: “La nostra voce è la rivoluzione e non c’è niente di male”; “Le donne sono la rivoluzione”, “Separare la religione dallo Stato è molto meglio che separare uomini e donne”.

Le rivoluzionarie hanno marciato insieme per amore del loro paese, innalzando cartelli con scritte bellissime, tra cui: “Sono nata irachena per diventare rivoluzionaria”, e “Nessuna voce può alzarsi sopra quella delle donne”.

Come ha raccontato una di loro, Saba (22 anni) a France Press: “Abbiamo iniziato a manifestare per rovesciare il regime. Adesso stiamo marciando per le donne perché, in quanto tali, ci rifiutiamo di essere messere a tacere e insultate”.

Durante la marcia di Baghdad le manifestanti non hanno dimenticato le martiri della rivoluzione. Hanno portato cartelli e foto con i loro nomi, tra cui quello di Sarah Talib, uccisa all’inizio della rivolta quando le milizie hanno fatto un raid a casa sua, sparando sia a lei che a suo marito per aver partecipato alle manifestazioni nonviolente contro le autorità a Basra. Ma c’era anche la foto di Huda Khudair, uccisa mentre lavorava come paramedica nella pizza principale di Karbala, a gennaio. E quella di Zahraa Ali Salman, rapita a soli 19 anni dalle milizie mentre lasciava Piazza Tahrir dopo una manifestazione, picchiata e torturata per 10 ore prima che il suo corpo senza vita fosse lasciato davanti a casa sua. E quella di Jinan Al-Shahmani, paramedica impegnata nelle piazze di Basra, uccisa il 22 gennaio quando uomini incappucciati hanno aperto il fuoco contro i manifestanti pacifici in città.

Le ragazze e le donne in Iraq hanno scelto di manifestare come prova della loro presenza attiva e della loro forza, e per annunciare che continueranno a far parte di questa rivoluzione. Hanno marciato per rifiutare e sfidare gli squallidi pettegolezzi e le accuse messe in giro sul loro conto, diffuse da voci estremiste per minare l’importanza della loro presenza in questa rivolta.

La loro è stata una marcia per il cambiamento, per la rottura degli stereotipi di genere imposti sui loro corpi da antiquati partiti politici che hanno controllato il destino di troppe persone, troppo a lungo.

Versione originale: https://www.iraqicivilsociety.org/archives/11336