Covid-19 in Siria. Tra sfide e speranza

22 December 2020, 17:22

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Un anno difficile volge al termine, anche per la Siria. Dove la pandemia è ormai diffusa e noi stiamo lavorando per contenerla e prevenirla. Grazie ai medici/che italiani/e che ci stanno offrendo volontariamente le proprie competenze per formare il personale locale; ad una linea verde sempre attiva, ai nuovi reparti Covid attivati. E alla voglia, come sempre, di portare alle persone sorrisi e speranza.

 

“Quello che sta per finire è stato un anno difficile per tutti e tutte, in Italia, in Europa, ma anche in Medio Oriente. Ci ha insegnato che dalla pandemia non si esce da soli/e, ma che è necessario concentrarsi sulla salute globale, non solo su quella delle nostre città, dei nostri confini”.

Apre così la nostra Martina Pignatti, Direttrice dei Programmi di UPP, il webinar che abbiamo organizzato lo scorso 18 dicembre per aggiornare chi ci segue sulla situazione nel nord est della Siria. Ma anche per ringraziare le tantissime persone e organizzazioni della società civile che hanno donato per sostenere il nostro lavoro in questi mesi e sin dal lancio della campagna “Emergenza Siria”, ad ottobre del 2019, immediatamente dopo l’offensiva della Turchia nelle aree del nord est.

Aree che, dopo quell’emergenza, si sono trovate ad affrontare una pandemia. “Abbiamo assistito all’aggravarsi della situazione umanitaria, e parallelamente alla scelta da parte della Comunità internazionale di ridurre il flusso di aiuti umanitari, oggi assolutamente insufficienti rispetto alle necessità”, spiega Martina.

Ci sono presidi sanitari che noi gestiamo dove adesso arriva il 20% degli aiuti che sarebbero necessari. Questo significa che abbiamo dovuto trovare nuovi donatori istituzionali, ma anche che abbiamo molto bisogno di voi, sostenitori e sostenitrici”.

Grazie infatti alle tante donazioni arrivate sin dal primo giorno, abbiamo potuto fare moltissimo, colmare tante lacune. Abbiamo potuto acquistare medicinali salva-vita come l’insulina, 6 generatori per altrettanti ospedali per renderli operativi anche in mancanza di elettricità. Con i vostri fondi garantiamo continuità nel nostro intervento e possiamo permetterci di fare formazione ai nostri partner della Mezzaluna Rossa Curda (KRC), delle Case delle Donne (Mala Jin), e di attiviste/i giovani come quelli/e di DOZ. Abbiamo potuto acquistare 195 tende per il campo di Washokani, creato per accogliere le persone sfollate dalle aree occupate dalle milizie turche, coperte, kit igienici. E molto, molto altro.

“Abbiamo ricevuto anche il sostegno di donatori come la Chiesa Valdese”, spiega Martina. “Grazie a loro è stato possibile attivare una linea telefonica attiva 24 ore su 24 che fornisce indicazioni importanti sulla prevenzione e la gestione del Covid-19, ma anche sostegno psicologico alle persone vulnerabili e aiuto alle donne vittime di violenza domestica”, prosegue.

Sull’importanza delle donazioni private torna anche Giacomo Baldini, capo missione di Un Ponte Per in Nord Est Siria. “I fondi ricevuti dalle donazioni private ci hanno permesso di rispondere tempestivamente alle difficoltà di operare in un territorio in guerra. Pensate anche solo a livello logistico quanti problemi sta affrontando un paese come l’Italia nella gestione del Covid”, spiega. “Ora immaginatele in Siria. Ecco perché il contributo di chi sostiene il nostro lavoro sarà d’ora in avanti ancora più importante”, sottolinea.

Giacomo è poi passato ad illustrare la situazione ad oggi. “Dal punto di vista della curva epidemica le cose non sono diverse dall’Europa: la trasmissione è alta e il livello di allerta al massimo. Ciò che cambia rispetto ad altri paesi è la capacità di risposta dei servizi sanitari, che sono in un contesto di guerra, e la vulnerabilità delle comunità. Ecco perché è essenziale che le organizzazioni come la nostra siano in prima linea su risposta e prevenzione”, spiega Giacomo.

Da marzo scorso abbiamo tentato di rispondere in modo completo alla crisi: sia presso le comunità per aumentare la consapevolezza dei rischi, che nelle strutture sanitarie. Abbiamo portato avanti un piano di formazione per operatori e operatrici sanitari/e, partner e comunità sulle tecniche di prevenzione grazie ai nostri medical advisor. Abbiamo attivato la linea telefonica d’emergenza. E poi abbiamo aiutato ad attrezzare i reparti Covid negli ospedali che supportiamo – Derek, Tabqa e Mambij. Qui una scuola in disuso, prima usata come centro di reclutamento da Daesh, oggi è un reparto Covid. Il nostro obiettivo è intercettare le persone infette senza farle aggravare”, spiega Giacomo.

Ma puntiamo a creare anche terapie intensive con intubazione, che fino ad oggi non è stato possibile avviare perché non ci sono professionisti/e formati/e su queste tecniche. Colpa della guerra, che ha portato centinaia di medici/che a lasciare il paese, molti/e altri/e a morire.

“Ecco perché siamo così felici che alcuni/e medici/che intensivisti/e italiani/e abbiano deciso di aiutarci a titolo volontario per formare gli operatori e le operatrici locali. Speriamo di poterci riuscire entro gennaio, vi terremo aggiornate/e su questo”, promette Giacomo.

Che dopo averci informato su numeri e cifre – “7.800 i casi confermati, ma si stima vadano almeno decuplicati per avvicinarsi al dato reale” – ci racconta un episodio.

Quello che riguarda una donna anziana ricoverata nel reparto Covid di Tabqa, stabilizzata ma ancora positiva. “Tutte le mattine suo marito viene a trovarla e si parlano dalla finestra. Vedere una cosa così in un luogo massacrato come la Siria, in cui ogni volta che sembrava ci fosse la possibilità di ripresa succedeva qualcosa che la ripiombava nel disastro, è bellissimo. UPP ha portato qualche spiraglio di speranza e felicità nella vita di queste persone. Credo che questo sia importantissimo”.

Ecco il webinar completo, a cui hanno partecipato anche gli amici e le amiche di Staffetta Sanitaria per il Rojava.