Elezioni irachene: chi ha vinto, chi ha perso?

14 October 2021, 11:12

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di Fabio Alberti, fondatore e membro del Comitato Nazionale di Un Ponte Per
Tratto da Transform-Italia del 13/10/2021

 

“L’affluenza è stata deludente per molti, un segnale che dovrebbe essere colto” così il primo commento della rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Iraq e capo della commissione Onu di assistenza alle elezioni all’annuncio delle percentuali della partecipazione al voto nelle elezioni del 10 ottobre in Iraq.

Al voto anticipato richiesto ed ottenuto, con le dimissioni del governo, dal movimento di giovani che dall’ottobre 2019 ha riempito le piazze irachene, ha partecipato un risicato 41% dei registrati, il tasso più basso nelle cinque elezioni tenutesi in Mesopotamia dopo l’invasione statunitense. A Baghdad, epicentro delle proteste, poco più del 30%. E le percentuali sarebbero ancora peggiori se si tenesse conto anche degli aventi diritto che non si sono registrati nelle liste.

Sono stati gli stessi manifestanti e gran parte dei coordinamenti delle proteste a chiamare al boicottaggio elettorale di fronte al permanere di condizioni di inagibilità politica considerate insostenibili. Con oltre 600 attivisti uccisi e decine di scomparsi il movimento di piazza chiedeva che i responsabili fossero assicurati alla giustizia. Le violenze nei loro confronti sono invece continuare con candidati e militanti che sono dovuti nascondere o scappare.

Il boicottaggio promosso dalle piazze, dal partito comunista e da molte nuove formazioni formatesi sulla scia delle proteste, si è sommato con una diffusa e radicale disillusione sulla possibilità che il sistema politico settario e corrotto instaurato dall’occupazione statunitense e alimentato dalla contesa Iran/Usa che tiene il paese in scacco da anni, potesse essere riformato. Ad ormai quasi venti anni dalla caduta di Saddam nel paese manca ancora acqua potabile ed elettricità, mentre decine di miliardi di dollari di aiuti e di proventi del petrolio sono scomparsi nel buco nero della gestione clientelare e settaria del potere.

Non tutti i leader delle proteste hanno chiamato al boicottaggio. A Nassiryia, uno dei centri in cui le proteste sono state più estese e durature e la repressione più brutale, il movimento Imtidad, fondato da attivisti locali, come il farmacista Alaa al-Rikabi, ha sfidato i partiti tradizionali nelle urne riuscendo ad eleggere 9 deputati. Imtidad è risultato il primo partito in quattro dei cinque distratti elettorali di Dhi Qar conquistando 5 dei 19 seggi assegnati alla provincia. Una affermazione netta, favorita forse anche dai buoni rapporti che il movimento di protesta aveva nella provincia con alcuni leader tribali.

Ma non è questo la sola conseguenza di due anni di mobilitazioni. Dallo spoglio dei voti emerge una forte affermazione del movimento di Muqtada Al Sadr (che passa da 54 a 73 seggi), leader shiita considerato più vicino alle proteste di altri e che sostiene una politica di liberazione del paese dalle ingerenze straniere, l’allontanamento delle truppe Nato, che da aprile 22 avranno una guida italiana, ma anche il disarmo delle milizie filoiraniane.

Arretrano invece le coalizioni politiche collegate alle milizie armate filoiraniane, considerate responsabili di una gran parte delle violenze contro i manifestanti, a cominciare da Fatah (“Vittoria”), che era la seconda coalizione nelle elezioni del 2018 e che invece si colloca ora dopo la coalizione sunnita “Progresso” guidata dal presidente del parlamento. La lista presentata dal Hetzbollah Kataib, forse la più violenta delle fazioni al soldo di Teheran, ha fatto un buco nell’acqua e ha già avviato una campagna di denuncia dei risultati delle elezioni.

Il risultato, nel suo complesso, risente quindi delle mobilitazioni di questi anni e potrebbe favorire la prosecuzione del tentativo dell’attuale primo ministro Khazemi, ospitando i colloqui, finora segreti nei risultati, tra Iran e Arabia Saudita, di guadagnare un po’ di autonomia dagli ingombranti vicini.

A parte questo possibile sviluppo, dalla società civile irachena si sottolinea come permanga al potere la stessa classe politica che ha portato il paese allo sfascio e lo stesso sistema di spartizione settaria del potere.

Sia il boicottaggio elettorale che la partecipazione con proprie liste, hanno quindi premiato il movimento di protesta iracheno, che necessità ancora più di prima dell’appoggio internazionale per proseguire la lotta per un nuovo Iraq.

 

di Fabio Alberti, fondatore e membro del Comitato Nazionale di Un Ponte Per
Tratto da Transform-Italia del 13/10/2021