Russia. Intervista ad Alexander Belik del Movimento obiettori di coscienza russo

15 December 2022, 13:22

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Arriva in Italia il leader degli obiettori russi. Insieme al Movimento Nonviolento abbiamo ospitato in queste ore la conferenza stampa di Alexander Belik, coordinatore del Movimento degli obiettori russi. Un appuntamento voluto fortemente al fine di far conoscere la voce dell’altra Russia, quella che rifiuta di imbracciare le armi.

 

A 50 anni esatti dall’approvazione della legge Marcora, che introdusse il diritto all’obiezione di coscienza in Italia, si è tenuta in queste ore la conferenza stampa di Alexander Belik, coordinatore del Movimento degli obiettori di coscienza russo. Un movimento nato in Russia nel 2014. L’appuntamento è stato organizzato in sinergia con il Movimento Nonviolento, compagni/e di strada di questi mesi nel sostegno e nella difesa degli obiettori russi, ucraini e bielorussi. Il diritto di obiezione alla leva militare è stato riconosciuto in Russia nel 1993, eppure la realtà è molto diversa. Secondo Alexander Belik sono circa 20.000 le persone arrestate in Russia per attivismo contro la guerra, «alcuni finiscono nei campi costrittivi per obiettori, in condizioni disumane, molti altri rimangono nascosti per paura di arresti e persecuzioni. Nel tempo i “campi di prigionia” – presenti nei territori ucraini occupati, secondo l’attivista ndr – sono aumentati. Nonostante siano illegali secondo il diritto interno russo e quello internazionale».

Oggi Belik è fuggito in Estonia ed è ancora in attesa di una decisione definitiva rispetto al suo status di rifugiato politico.


Alexander Belik, partiamo dalla sua esperienza personale: era già un obiettore prima dell’invasione russa dell’Ucraina?

Sono il coordinatore del Movimento degli obiettori di coscienza russo dal 2016 e da allora do consigli alle persone su come evitare la leva militare. Personalmente però sono un po’ come il figlio del calzolaio che gira in strada con le scarpe bucate. Neanche la mia obiezione è stata mai formalmente riconosciuta. Sono andato al comando militare diverse volte per presentare i motivi medici per cui non ero idoneo alla leva, ma ogni volta mi è stato detto di lasciare il comando perché, secondo loro, ero troppo provocatorio.

In Italia non si sa molto degli obiettori di coscienza russi. Ad esempio, quanti sono?

Non possiamo dare numeri precisi, le cifre esatte, di quante persone stiano obiettando ora alla mobilitazione militare generale. Quello che posso dire è che i nostri social media e i nostri canali telegram, dopo l’inizio della mobilitazione del 21 settembre (data della mobilitazione generale voluta da Putin, ndr), sono cresciuti in modo significativo, passando da circa 1500 contatti a 50 mila. E’ un traguardo davvero significativo. Sappiamo che tutte queste persone ci cercano per avere informazioni su come obiettare e sfuggire al servizio militare. La seconda cosa da dire sui numeri è che un numero imprecisato di obiettori sono oggi detenuti in condizioni disumane nei campi di costrizione presenti nei territori ucraini occupati. Nel campo di prigionia a Brianka (ndr, situato nel Lugansk) c’erano detenuti 250 obiettori e disertori. Dopo la mobilitazione generale di settembre, sono spuntati altri campi di questo tipo nei territori occupati. Sono oggi tra i 5 e i 10 campi di prigionia, e in ogni struttura sono detenuti dai cento ai trecento obiettori di coscienza.

La sensazione generalista è che il territorio russo sia uno spazio chiuso ai dissidenti. E’ d’accordo? Ci sono spazi di manovra per chi protesta contro la guerra?

Ovviamente durante la prima settimana di conflitto o dopo l’annuncio della mobilitazione di massa, c’è stata una grandissima protesta per le strade e molte persone si sono schierate contro la guerra. Perciò il governo russo ha approvato diverse leggi per reprimere queste opinioni in pubblico. Ora le persone hanno paura di essere catturate dalla polizia e portate in prigione. Pochi giorni fa Ilya Yashin, un oppositore russo, ha pagato il suo dissenso con la condanna a otto anni e mezzo di carcere. Naturalmente esistono ancora in Russia dissidenti, difensori dei diritti umani e manifestanti che scendono nelle strade, fanno graffiti antigovernativi, opere d’arte contro Putin e contro l’invasione russa. Sono ancora molte le cose del genere che stanno accadendo. Circa ventimila persone sono state arrestate in Russia dall’inizio dell’invasione, perché si opponevano alla guerra. Più di quattrocento fascicoli penali sono stati aperti nei confronti di attivisti/e pacifiste.

Avete mai avuto contatti con il movimento degli obiettori ucraini?

Certo, abbiamo avuto diversi contatti cordiali con il Movimento Pacifista Ucraino. Non abbiamo avuto ancora occasione di collaborare perché siamo tuttora concentrati sul lavoro con gli obiettori di coscienza russi. Naturalmente, lavoriamo con gli obiettori russi che ora si trovano nel territorio ucraino o nei territori occupati. Ogni nuovo obiettore russo rappresenta un militare in più che riusciamo a tenere lontano dal fronte.

Quanto è importante per voi il sostegno del movimento internazionale per la pace?

E’ importantissimo, assolutamente. Grazie a questo sostegno vogliamo giungere al Parlamento europeo e a Ursula von der leyen, affinché finalmente venga riconosciuto diritto di asilo in Europa per gli obiettori di guerra provenienti da Russia, Ucraina e Bielorussia. Si tratta di una petizione congiunta di diverse organizzazioni, come l’European Bureau for Conscientious Objection, War Resisters’ International, Connect e.V. e altre organizzazioni come Un Ponte Per che ci stanno sostenendo.

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Durante la conferenza stampa è intervenuto anche il nostro co-presidente Alfio Nicotra: «Così come abbiamo a cuore la popolazione civile ucraina che muore sotto le bombe, sosteniamo gli obiettori e i disertori in Russia, che sfuggono al terrore voluto da Putin. Abbiamo voluto questa conferenza perché, passata una prima fase di simpatia verso i dissidenti alla guerra, poi la notizia è sparita dai grandi mass media. Come se per giustificare la guerra bisognasse nascondere l’altra Russia, quella che rifiuta di imbracciare le armi. Per questo la testimonianza di Alexander è preziosa. Chiediamo che non siano i popoli a pagare il prezzo delle sanzioni».