Al Hol. “L’emergenza sarà finita quando si potrà tornare a casa”

25 Settembre 2019, 16:12

E’ passata anche l’estate sul campo di Al Hol, nella Siria nord orientale, che accoglie oltre 90.000 persone in fuga dalla guerra ammassate al confine tra Siria e Iraq. Sono passate le temperature infernali, il caldo torrido che in estate tocca picchi altissimi, rendendo ancora più facile la diffusione di malattie ed epidemie.

Ma non è passata la necessità di intervenire per garantire che le persone arrivate qui, in fuga dalla guerra o da ciò che resta delle ultime roccaforti Daesh, possano accedere alle cure e all’assistenza.

Qui, dove lavoriamo insieme alla Mezzaluna Rossa Curda ormai da mesi, abbiamo visto arrivare migliaia di persone nel giro di pochissimi mesi, in fuga dai combattimenti a Baghouz.

Abbiamo visto il campo espandersi, le emergenze sanitarie aumentare, i bambini morire di malattie curabili. Ma abbiamo visto anche le organizzazioni non governative adoperarsi per intervenire, i nostri operatori e operatrici sanitari muoversi di tenda in tenda per parlare con le persone, ascoltare le loro necessità, immaginare interventi per aiutarle.

L’emergenza è tutt’altro che rientrata. Sarà finita quando le persone potranno tornare a casa”, ci racconta Luca Magno, uno dei nostri Desk Siria, che ha seguito passo per passo il lavoro sul campo in questi mesi.

“Prestare assistenza umanitaria è un atto dovuto, ma non ha prospettiva: occorre adoperarsi per creare le condizioni di un ritorno dignitoso a chi è fuggito. Siamo riusciti/e a contenere l’emergenza, ora bisogna lavorare per il futuro”, spiega.

In primavera l’emergenza era al suo apice. L’arrivo improvviso di 64.000 persone, di cui 60.000 donne  e bambini, aveva reso la situazione nel campo terribile. Mancavano servizi igienici adeguati, medicine, sostegno medico e psicologico.

“Le due cliniche che abbiamo aperto nel campo erano sovraffollate, le epidemie si diffondevano con grande facilità, bambine e bambini morivano per disidratazione e malnutrizione. Grazie al sostegno di tante donazioni ricevute, insieme alla Mezzaluna Rossa Curda siamo riusciti/e ad attivarci per contenere l’emergenza”, racconta Luca. Tra i primi interventi che abbiamo realizzato, l’apertura di due “Ors corner” (oral and rehydratation salt), punti di reidratazione necessari a reidratare le persone con acqua e sali minerali.

“Grazie al lavoro di molte organizzazioni, sono stati creati 3 ospedali da campo, riducendo la pressione sugli ospedali della zona che erano saturi. Abbiamo ideato un meccanismo di ‘Operational Desk’: una sorta di cabina di regia a cui si può rivolgere chi deve uscire da Al Hol per un’urgenza o un consulto medico. Qui un embrionale sistema radio per le ambulanze riesce ad indirizzare i/le pazienti verso la struttura medica più vicina, riducendo i tempi di attesa per entrare in azione”, spiega Luca.

Grazie a questo sistema, tra luglio e agosto abbiamo potuto fornire 2.200 consulti medici, e reindirizzare oltre 100 casi agli ospedali fuori da Al Hol.

“L’OMS ha poi avviato le operazioni di vaccinazione automatica nel campo per prevenire epidemie future tra i bambini”, prosegue. “Uno dei problemi maggiori era e resta la malnutrizione: tra febbraio e marzo abbiamo perso 300 bambini e bambine, bisognava intervenire. Adesso stiamo lavorando moltissimo sulle campagne che incoraggiano l’allattamento al seno delle madri, per ridurre l’uso del latte in polvere, meno sano e molto difficile da trovare in tempo di guerra. Ma la situazione è delicata: le donne che arrivano ad Al Hol hanno vissuto traumi terribili, depressione e stress post-traumatico sono all’ordine del giorno”, ci spiega.

Per questo, il lavoro delle Operatrici Sanitarie di Comunità è stato fondamentale. Donne comuni, che prima della guerra erano impegnate in altri settori, ma che hanno deciso di adoperarsi per aiutare la propria comunità.

Insieme alla Mezzaluna le abbiamo formate, e oggi sono in grado di fornire un primo consulto medico alle persone che ne hanno bisogno. “In questi mesi hanno lavorato ininterrottamente, tenda per tenda, con grande prudenza. Hanno incontrato le donne ospitate ad Al Hol, capendone i bisogni, tendando di aiutarle. Adesso stiamo avviando ulteriori formazioni, perché Operatrici e Operatori Sanitari di Comunità siano formati/e anche sul sostegno psico-sociale”, racconta Luca.

Ma soprattutto, stiamo lavorando sulla prevenzione e sull’accesso ai diritti. Stiamo costruendo degli Info Point, importantissimi per dare informazioni alle persone sui loro diritti. “Spieghiamo loro come orientarsi nel campo, come registrarsi per richiedere di tornare a casa, in Iraq come in Siria. Forniamo indicazioni sui servizi sanitari offerti, perché sono un loro diritto ma spesso non lo sanno. In questo modo speriamo anche di ridurre le tensioni all’interno del campo, ancora presenti”.

Per questo, nel campo di Al Hol resteremo anche in futuro: “Siamo riusciti/e ad evitare e contenere il picco dell’emergenza umanitaria. Mancavano tende, bagni, medicinali, tutto. Lentamente la situazione si è stabilizzata. Adesso occorre concentrarsi sulla malnutrizione infantile, sull’accesso ai diritti, sulla protezione dalla violenza di genere. Continueremo a rafforzare il sistema delle ambulanze, miglioreremo le cliniche che abbiamo aperto, avvieremo corsi di formazione per i nostri operatrici e operatori, così da migliorare i servizi che forniamo ogni giorno”, conclude Luca.

“E continueremo a fare pressione perché sia garantito a tutte e tutti un ritorno a casa dignitoso. Allora sì, potremo dire che l’emergenza ad Al Hol è rientrata”.

Per rendere il nostro intervento sempre più efficace, abbiamo bisogno di sostegno. Clicca qui per scoprire come contribuire. 

 

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L’intervento nel campo di Al Hol è implementato nell’ambito del progetto “Fourniture de soins de santé primaires et de services d’urgence aux réfugiés iraquiens et aux personnes déplacées à l’intérieur du camp d’Al Hol (2019-009)”.