“Organizzazione e solidarietà per combattere il virus”. Intervista all’infettivologo H. Hasson

31 Marzo 2020, 12:33

Questa è una intervista realizzata a più mani* ad Hamid Hasson, infettivologo e voce storica di Un Ponte Per. Hamid è stato protagonista, durante gli anni dell’embargo all’Iraq, del progetto “Sindbad” di Un Ponte Per: insieme al dottor Giovanni Gaiera, suo collega all’Ospedale San Raffele di Milano, negli anni dell’embargo ha sostenuto gli ospedali di Bassora e Baghdad per combattere le morti per malattie curabili come la diarrea che ogni anno, a causa dell’impossibilità di sanificare gli acquedotti, hanno rappresentato la principale causa di morte nell’infanzia.

Il progetto ha sostenuto per diversi anni l’opera di contrasto in età pediatrica di patologie oncologiche, anche attraverso l’invio di farmaci chemioterapici, la cui importazione era vietata perché considerate dagli Usa come potenziali armi chimiche.

Hamid è un infettivologo oggi in prima linea nel cuore dell’epicentro italiano della pandemia da Covid-19, la Lombardia: lavora da decenni al San Raffaele di Milano, nell’ambito della sua specializzazione si è occupato prevalentemente di Hiv ed epatologia, ma in questo periodo è stato dirottato a fronteggiare il Coronavirus.

E’ stanco, quando ci sentiamo via Skype, ma felice di condividere con noi le sue riflessioni cercando di ragionare su cosa significhi questa contabilità terribile dei morti e degli ammalati e di ragionare su ciò che va fatto e sui limiti evidenti del sistema sanitario italiano.

Hamid ci ricorda che sono oltre 40 anni che si trova in Italia. Quando era partito per studiare medicina, il primo anno a Perugia e i successivi all’Università di Milano, pensava che una volta laureato sarebbe ritornato in Iraq, a Baghdad, la città in cui è nato. Aveva scelto di diventare infettivologo proprio per poter contribuire a contrastare nel suo paese e in tutto il Medio Oriente patologie particolarmente virulente. Poi la storia ha cambiato corso, con l’Iraq di Saddam Hussein che sceglieva la guerra all’Iran e poi tutte le guerre del Golfo successive. Grazie al San Raffaele, una istituzione sanitaria privata, riesce a vincere l’ostilità dell’Ordine dei Medici di Milano che, per tre anni, gli ha impedito l’iscrizione all’albo e di praticare la professione medica secondo la legge italiana. Raccogliamo una vena di amarezza quando lo dice. Non deve essere stato facile diventare medico in Italia nonostante la laurea conseguita in una nostra università.

Hamid, tu che sei in contatto con medici infettivologi di altri Paesi, compreso l’Iraq, ci puoi spiegare quale è la linea di tendenza in corso in merito alla propagazione del contagio da coronavirus?

Attualmente, al 30 marzo 2020, nel mondo si hanno oltre 748.000 casi conosciuti di persone contagiate, 36.000 decessi e 150.000 guariti (in buona parte, quest’ultimi, in Cina). Riportiamo i dati per paese.

 Abitanti Casi conosciuti    Decessi Guariti
Mondo 7.673.033.260 748.207 36.117 148.870
USA 329.064.917 143.532 2.572  2.665
Italia 60.550.075 101.739 11.591 13.030
Spagna 46.736.776 85.195 7.340 14.709
Cina 1.433.783.686 81.470 3.304 75.582
Germania 83.517.045 63.929 560 9.211
Iran 82.913.906 41.495 2.757 12.391
Francia 65.129.728          40.174    2.606 7.226
Gran Bretagna 67.530.172 22.141 1.408 151
Belgio 11.539.328          11.899 513 1.359
Turchia 83.429.615 9.217 131 105
Israele 8.519.377 4.347 16 132
Arabia Saudita 34.268.528 1.453 8 66
India 1.366.417.754 1.071 29 95
Iraq 39.309.783 547 42 143
Libano 6.855.713 438 10 30
Giordania 10.101.694 246 0 18
Palestina 4.981.420 97 1 Non noto

 

Ormai da settimane l’Onu parla espressamente di pandemia e ciò è dimostrato anche dalla velocità con cui il contagio sta viaggiando. L’ Europa (Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna) ha perso tutto il tempo che aveva a disposizione per prepararsi: è rimasta assolutamente ferma. Siamo ancora in tempo per intervenire a livello mondiale ma dobbiamo muoverci. Dobbiamo aspettarci infatti una progressione dei numeri molto rapida e la preoccupazione riguarda certi paesi asiatici e l’Africa. Leggendo i dati, alcune situazioni sono particolarmente preoccupanti: in Belgio per esempio ci sono molti infetti per uno stato così piccolo, mentre la situazione indiana preoccupa per via della densità di popolazione con un sistema sanitario tanto fragile.

Parliamo della situazione in Italia vista dal tuo osservatorio di primo piano.

L’Italia, e il nord Italia in particolare, sono uno degli epicentri di questa espansione. Si è detto che l’alto numero di decessi conosciuti derivi dalla popolazione anziana con molte patologie cardio-vascolari e diabete che la espongono a maggior rischio letale al Covid-19.
Questo non spiega però come ad esempio in Germania, che ha una popolazione anziana pari a quella italiana, ci siano molte meno vittime. Dobbiamo avere il coraggio di ricercare una spiegazione a questo fatto. Probabilmente questo chiama in causa l’organizzazione stessa del sistema sanitario. Probabilmente in Italia in paziente arriva in ospedale molto tardi, con polmoniti già in stato avanzato, con rischio maggiore di andare in terapia intensiva e quindi intubazione.
Sia il medico di base che i servizi di call center diretti dedicati al Coronavirus, indirizzano all’ospedale solo i pazienti in condizioni gravi. Con questa modalità si tralasciano i casi con problemi respiratori nelle fasi intermedie che probabilmente sono quelli che trovano maggiore beneficio dal ricovero e quindi dalle cure. I limiti del sistema non hanno consentito il monitoraggio dei pazienti in maniera sistematica e non è stato possibile gestire, o addirittura garantire le cure sul territorio, senza ricorrere agli ospedali. L’evoluzione della malattia è molto veloce, come si evince dalle immagini radiologiche dei pazienti ricoverati, e non agire subito espone a un intervento tardivo da parte del sistema sanitario. Il medico di base non ha avuto gli strumenti necessari per monitorare i pazienti. Il sistema non era organizzato per affrontare l’epidemia a livello capillare e con rapidità. Non esistono protocolli precisi per i medici di base, e questo la dice lunga su cosa è successo in queste settimane. Non conosciamo i livelli di ospedalizzazione della Germania, per poter fare un confronto è necessario anche sapere quanti pazienti ospedalizzati vanno in terapia intensiva. Presumo però – è una supposizione perché non ho dati certi – che il sistema sanitario tedesco intervenga molto prima sui pazienti, rispetto a quanto abbiamo fatto noi.

Ci puoi spiegare perché questo virus è così aggressivo e contagioso?

L’attuale pandemia è causata da un virus a RNA (SARS CoV-2) che appartiene alla famiglia dei coronavirus, che si conosce da circa 70 anni. Il fatto che il coronavirus sia responsabile degli attacchi alle vie aeree è noto dal 2003, quando un virus che apparteneva alla famiglia dei coronavirus è stato individuato come causa della sindrome respiratoria acuta. Sono stati individuati tre gruppi con sottogruppi che colpiscono varie specie animali. Esiste una review del 2009 che descrive gli aspetti che riguardano l’evoluzione clinica. Questo virus colpisce le cellule umane ma non è integrato. Ha fatto un salto genetico dai pipistrelli all’uomo. Il salto è possibile dove c’è un contatto delle mucose umane con gli animali. SARS e MERS fanno parte della stessa famiglia. Sopravvie sulle superfici a lungo, ecco perché bisogna lavarsi accuratamente le mani, o disinfettarle. E’ aggressivo, ma non resistente ai disinfettanti.

Cosa si può fare per sconfiggerlo?

Per sconfiggere il virus serve quello che con uno slogan chiamo ORS: Organizzazione, Rapidità, Solidarietà.
La O è mancata assolutamente. La R altrettanto: si è agito in ritardo. La S non è esistita: a tutti i livelli, dal mondo all’Europa fino ai Comuni, non c’è stata solidarietà.
Nel modello cinese i tre livelli sono stati applicati efficacemente, circoscrivendo, limitando e fermando il contagio. A Lodi si è agito rapidamente con un blocco totale e si ha avuto successo pur partendo con un certo ritardo. Se l’Europa avesse fatto un intervento di solidarietà fin dall’inizio dei primi casi a Lodi, oggi non si troverebbe in questa situazione.
Il sistema italiano deve riconoscere i propri limiti. Limiti del sistema sanitario, degli interventi di blocco troppo tardivi. La medicina del territorio non ha funzionato. Continuiamo a mandare allo sbaraglio il personale sanitario a cui mancano spesso i dispositivi sanitari di protezione come dimostra l’alto numero di colleghi e di infermieri contagiati, e fino ad ora il numero di medici che abbiamo perso è impressionante: oltre 60 vittime. Non ci sono protocolli a disposizione per i medici, tutti ci inventiamo qualcosa e tutto dipende dalla buona volontà del singolo operatore sanitario.

Hai una tua idea di protocollo, su come dovrebbe funzionare?

Quando il paziente manifesta i primi sintomi al call center o al medico di base occorre agire subito.
Servono squadre di intervento rapido protetto per eseguire gli accertamenti necessari e decidere il percorso adatto. Con sintomi gravi e polmonite vanno ricoverati in ospedale senza perdere tempo.
Se non ci sono posti disponibili va somministrata la terapia a domicilio. Noi abbiamo un servizio sanitario universale e questo ci permetterà, nonostante i ritardi e le lacune che abbiamo detto, di fronteggiare in modo egualitario questa malattia. Cominceremo a vedere la luce in fondo al tunnel fra due-tre settimane in Lombardia. Per quanto riguarda la sanità privata il gruppo San Donato, a cui fa capo il San Raffaele, copre un quinto dei posti letto per Covid. Il sistema sanitario deve avere delle regole ed un’organizzazione.

Qual è la situazione nei paesi in cui operiamo con Un Ponte Per?

Ho avuto un colloquio in remoto con colleghi a Dohok, nel nord dell’Iraq, nella regione del Kurdistan, sul confine con la Turchia: le città di Sulaymaniyia ed Erbil sono state chiuse per evitare il contagio dall’Iran. Il contagio in Iraq è infatti avvenuto dall’Iran a causa dei tanti viaggi, soprattutto quelli religiosi. Il dato in Iraq è di 547 casi, con 42 decessi e 143 guariti (al 31 marzo, ndr). Sono molto preoccupato per la situazione a Baghdad dove due ospedali su tre incominciano a soffrire: a Baghdad c’è un coprifuoco non rispettato rigidamente. A Kerbala e Najiaf si registrano numeri importanti. Ci dobbiamo aspettare purtroppo una impennata. Una settimana fa si è tenuta una manifestazione religiosa in una moschea sciita che i capi politici e religiosi non hanno bloccato.
In Giordania c’è caos anche con i numeri che risultano bassi (246, 0 decessi). In Siria sono stati dichiarati soltanto 9 casi con un decesso, dato non credibile circondata com’è da paesi con una larga diffusione del virus. In Arabia Saudita 1.453 casi con 8 decessi: sono numeri non credibili visti i pochi decessi. L’Egitto vede 576 casi con 36 decessi e i numeri sono in salita. Israele dichiara 4.347 casi con 12 decessi: anche in questo caso bisogna capire come siano possibili così pochi decessi. Va sottolineato il fatto che in Europa stiamo giocando nei tempi supplementari: o si gioca bene, oppure la partita si perde pagando un prezzo molto alto in termini di vite umane ed economici. Se l’uomo dimostrerà di avere un’intelligenza superiore al virus con la solidarietà umana potremo sconfiggerlo. Io sono credente, musulmano, metà sciita e metà sunnita. Sin da bambino ho frequentato sia le moschee sciite che quelle sunnite, e di questo sono orgoglioso. Prego, perché possiamo uscirne.

* Intervista a cura del Comitato di Milano e Monza di Un Ponte Per