Siria, campo di Al Hol. Sui ritorni, rispetto del Diritto internazionale e della dignità

9 Ottobre 2020, 11:56

Nei giorni scorsi sulle cronache mediatiche internazionali si è tornato a parlare del campo profughi di Al Hol, in Siria, spesso menzionato per la presenza al suo interno di famiglie percepite come associate a Daesh e persone provenienti da aree da questo controllate.

La notizia scatenante è stato l’invio di un tweet da parte di Ilham Ahmed, Co-Presidente del Syrian Democratic Council (SDC), il governo autonomo del Nord Est Siriano (NES), in cui si annunciava il ritorno di tutte le famiglie siriane presenti nel campo alle loro case e città di origine.

Obiettivo di questo articolo è dare un’informazione completa a partire dal lavoro quotidiano che Un Ponte Per e il suo partner locale, la Mezzaluna Rossa Curda (KRC), svolgono proprio all’interno del campo di Al Hol.

Il campo di Al Hol, già esistente nella sua struttura originaria dagli anni 2000 e dalla guerra in Iraq del 2014, è stato riattivato sul finire del 2016 per accogliere i rifugiati iracheni in fuga dall’offensiva per liberare la Piana di Ninive e la città irachena di Mosul dalla presenza di Daesh.

In questa prima fase, il campo era composto esclusivamente da rifugiati iracheni, ed aveva una popolazione di circa 10.000 persone. Arrivare qui dall’Iraq significava attraversare il deserto che costituisce il poroso confine siro-iracheno e la no man’s land dove solo le ambulanze di KRC supportate da UPP riuscivano ad arrivare. Scegliere questa difficile strada significava sfuggire alla paura di arresti, detenzioni e abusi nelle mani delle Forze di sicurezza irachene.

In quello stesso periodo, UPP e KRC hanno messo in piedi il primo centro clinico nel campo che a tutt’oggi, dopo quattro anni di lavoro ininterrotto e diverse riabilitazioni ed espansioni nella struttura e nei servizi offerti, rimane il centro più importante per le cure mediche offerte alla popolazione, grazie al suo laboratorio, al centro aperto h24 per le emergenze, alle ambulanze sempre presenti, ai servizi ginecologici e pediatrici.

E’ a partire dal marzo 2019 che il campo di Al Hol vede crescere a dismisura la sua popolazione, in coincidenza con l’attacco contro le ultime roccaforti di Daesh nel deserto di Deir ez Zor, ed in particolare nell’enclave di Baghouz.

I due mesi successivi sono drammatici per il campo e per la popolazione che vi arriva allo stremo delle forze a causa del viaggio e di settimane di assedio militare nel deserto, condotta al campo a bordo di camion. Il numero delle persone da assistere all’arrivo è da subito molto più alto delle capacità di risposta degli attori umanitari presenti nel campo.

Oltre 200 bambini e bambine, per lo più neonati, perdono la vita a causa delle gravi condizioni di malnutrizione vissute nel deserto fino all’arrivo al campo. Le ambulanze di UPP e KRC trasportano decine di casi al giorno dalla linea dei combattimenti e dal campo di Al Hol negli ospedali di tutta la regione, anche questi al limite delle proprie capacità ricettive.

Dopo circa due mesi la situazione si stabilizzerà intorno ad una popolazione di circa 70.000 persone e ad un campo costituito ora per la maggior parte (94%) da donne e bambini. Gli uomini infatti sono stati quasi tutti trasferiti nelle prigioni, dove ancora oggi vengono detenuti in attesa di un processo i prigionieri siriani e non, presunti membri di Daesh. A partire dal 2019 la popolazione del campo è dunque composta da circa 30.000 persone irachene, altrettante siriane e da oltre 10.000 donne e minori di altre nazionalità, che vengono detenute in una sezione speciale del campo denominata “Annex”.

Solo questa sezione funziona come un vero e proprio centro detentivo, mentre nel resto del campo le autorità locali cercano di mantenere la natura umanitaria dell’accoglienza. Le diverse organizzazioni delle Nazioni Unite e non governative locali ed internazionali iniziano così una corsa per mettere in piedi i servizi essenziali per una popolazione giunta nel campo in condizioni di altissima vulnerabilità.

UPP e KRC creano un’altra clinica a distanza di alcuni chilometri dalla prima, che offre lo stesso tipo di servizi. Le dimensioni di questo campo – ora il più grande della regione – lo rendono una vera e propria città con all’interno servizi di ogni natura: dal mercato alle scuole, la cui gestione è diventata una macchina estremamente complessa e costosa. Solo con uno sforzo congiunto di tutti gli attori umanitari (oltre 35) si è riusciti a fornire alla popolazione un livello minimo di servizi essenziali per contrastare l’emergenza. Tuttavia, l’accesso ai servizi di base rimane ancora difficoltoso per gran parte della popolazione del campo, tra cui i gruppi più vulnerabili, come persone con disabilità fisiche o mentali, anziani e minori non accompagnati.

La peculiarità di Al Hol è sempre stata la convivenza forzata tra chi ha sostenuto Daesh e chi ne è stato vittima. Questa situazione ha innescato una spirale di violenza tale da rendere alcune aree del campo inaccessibili non solo agli operatori umanitari, ma anche alle forze di sicurezza.

A questa situazione di violenza generalizzata e normalizzata nel tempo, si aggiungono poi forti preoccupazioni dal punto di vista della protezione, soprattutto per le persone più vulnerabili. Tra queste, l’alto tasso di lavoro minorile, matrimoni forzati e precoci per le bambine e le adolescenti, violenza, abusi e negligenze verso i minori, i “delitti d’onore” e i femminicidi.

In queste condizioni, è sempre stato auspicato il ritorno presso le comunità di origine delle persone siriane e irachene presenti nel campo. Per le donne e i minori di altre nazionalità si è sempre chiesta invece una soluzione secondo i principi del Diritto internazionale. I ritorni nelle comunità locali sono sempre avvenuti in questi anni, anche se molto lentamente: da un lato per la difficoltà organizzativa che richiede la presenza di uno sponsor nelle comunità di ritorno, solitamente un leader tribale o un capo religioso; dall’altro per la mancanza di volontà e di consenso al ritorno da parte soprattutto dei cittadini siriani, che dovrebbero tornare nelle aree sotto il controllo del Governo Siriano.

Ad oggi sembra prevalere la paura di essere vittime di persecuzioni al ritorno o di versare in condizioni di estrema povertà, unite alla mancanza di servizi di base nelle aree dove la ricostruzione post-bellica non è stata ancora avviata.

I ritorni erano dunque già in corso prima dell’annuncio dell’SDC: basti pensare che nell’ultimo anno la popolazione è scesa a circa 60.000 persone, anche se la pandemia di Covid-19 ha di recente rallentato questo processo, provocando un aumento dei casi di fuga e di livelli di violenza nel campo.

Questo annuncio oggi ci dice prima di tutto che riprenderanno i ritorni, anche se restano i dubbi sulla velocità di questo processo per diversi motivi. Bisognerà capire quali cittadini siriani potranno tornare e chi farà da sponsor, quali invece saranno costretti a rimanere nel campo perché accusati di crimini, anche se non è chiaro da quale tribunale e attraverso quali procedure.

Questo processo durerà diversi mesi e riguarderà altre 15.000 persone circa. La maggioranza degli abitanti del campo – 30.000 persone irachene e 10.000 di altre nazionalità – resteranno purtroppo ad Al Hol fino a quando i paesi di provenienza non agiranno. Questo pone molti dubbi sulla futura natura del campo e preoccupazioni circa un possibile restringimento dello spazio di azione umanitaria, che potrebbe favorire la trasformazione di Al Hol in centro detentivo.

Inoltre, sono ancora numerosi i dubbi sulle modalità e le condizioni in cui questi ritorni verranno organizzati e se le autorità locali terranno in considerazione le vulnerabilità della popolazione del campo. Per poter organizzare ritorni volontari, sicuri e rispettosi della dignità di ogni individuo, sarebbe necessario un lungo processo di consultazione con la popolazione residente nel campo in modo da identificare i bisogni e le vulnerabilità della comunità.

Qualora le necessarie misure preventive e protettive non verranno messe in atto, i rischi di separazioni coniugali e di separazione dei minori dalle figure parentali, di abusi verso anziani e persone con disabilità, e di un incremento della violenza di genere durante il processo di ricollocazione, resteranno alti.

Le organizzazioni umanitarie che operano nel campo si sono già rese disponibili a sostenere i ritorni ed hanno avviato un dialogo molto positivo con le autorità locali per assicurarsi che il ritorno dei cittadini siriani avvenga con le garanzie necessarie, nel rispetto delle vulnerabilità individuali e in condizioni di dignità.

Bisogna aggiungere che il messaggio dell’SDC non è rivolto soltanto agli operatori umanitari, che hanno ben accolto quest’informazione e si preparano ad agire; ma anche alla Comunità internazionale, a cominciare dall’Iraq e dagli Stati membri che hanno cittadini nel campo, per ribadire che una soluzione definitiva passerà necessariamente dalla presa in carico di ogni paese verso i propri cittadini, e che solo il rispetto del Diritto internazionale potrà offrire adeguate garanzie per l’incolumità e la dignità delle persone e dei minori coinvolti.

Sia noi di Un Ponte Per che UNICEF abbiamo in passato sollevato forti preoccupazioni per i cittadini di paesi terzi – la maggior parte dei quali donne sole e minori di oltre 60 nazionalità, spesso europee – intrappolati ad Al Hol. Abbiamo rivolto appelli [1] ai governi perché si facessero carico della responsabilità dei propri cittadini nel rispetto del Diritto internazionale e dei principi umanitari.

Data la possibile partenza dei cittadini siriani residenti nel campo e la conseguente trasformazione di Al Hol in centro detentivo, un intervento immediato da parte dei paesi di origine dei cittadini di altre nazionalità appare dunque sempre più necessario, soprattutto a protezione dei minori residenti nell’Annex.

La Comunità internazionale deve assumersi la responsabilità di organizzare un rimpatrio sicuro e dignitoso dei minori e una reintegrazione nei propri paesi d’origine.

[1]https://www.unponteper.it/it/2019/11/soddisfazione-rientro-alvin-ora-politica-affronti-tema-familiari-isis/

https://www.unicef.org/press-releases/unwanted-exploited-and-abused-tens-thousands-children-al-hol-camp-and-several-parts

https://www.huffingtonpost.it/entry/oltre-linferno-i-rifugiati-dimenticati-della-siria_it_5d1b200ce4b03d6116414c34

https://www.huffingtonpost.it/entry/alvin-bentornato-ora-pensiamo-agli-altri-27999_it_5dc93bd8e4b00927b2364b94