Testimonianze dalla frontiera tra Polonia e Ucraina

7 Marzo 2022, 13:30

Il racconto per Un Ponte Per di David Ruggini*, fino a inizio anno Capo Ufficio di Un Ponte Per a Beirut. Oggi si trova come attivista a Medyka, cittadina polacca di frontiera, dove in migliaia arrivano in fuga dall’Ucraina, attendendo con pazienza di poter partire. Foto di Juliette Mas.

 

Qui a Medyka in Polonia, al confine con l’Ucraina, arrivano in media 1.000-2.000 persone al giorno. Il numero non è imponente ma il villaggio è piccolo e facilmente si rischia di essere travolti. Nella cittadina, volontari e volontarie passano la giornata accogliendo le persone che fuggono dall’Ucraina: si offrono vestiti, cibo e thè caldo, e si danno informazioni mentre autobus no stop partono in direzione di Przemyśl, la prima vera città polacca dopo il confine.

A Przemyśl, un vecchio centro commerciale abbandonato è stato convertito in hub per i/le rifugiati/e. All’interno è stato creato un magazzino per stoccare tutti gli aiuti arrivati fino ad adesso mentre le vecchie boutique dismesse sono diventate dormitori. Qui la gente attende di salire sugli autobus che li porteranno verso altre città polacche o altri paesi.

 

 

Confesso che incontro una certa difficoltà a scrivere ancora di frontiere. Come essere sull’orlo del precipizio cosciente e incosciente allo stesso tempo.

Mi ripeto che fino a qui tutto bene, fino a questo lembo di terra va tutto bene, chi arriva qui è salvo, almeno per ora. Al di là delle solite barriere e cancelli a circa 50km suonano le sirene antiaeree.

Da un paio di giorni anche Lviv, Leopoli, viene minacciata di tanto in tanto e lo si nota dal flusso di persone in aumento negli ultimi giorni.

L’odore della notte qui è sempre lo stesso, si brucia legna, cartone, e quello che si trova per scaldarsi nell’attesa che l’autobus arrivi. Le temperature sono basse, spesso intorno allo zero, e alle volte nevica, ad ogni respiro fumano le narici, si sbattono le mani o i piedi per fare circolare il sangue e si stropicciano gli occhi dalla stanchezza.

Il numero di volontari e volontarie è impressionante. La società polacca e in generale europea ha risposto con un forte slancio solidale nei confronti dei/delle rifugiati/e.

 

 

Dopo aver vissuto Idomeni da molto vicino non mi sorprendo più di notare come anche in questo tipo di situazione, estremamente tesa, si possa discriminare le persone in fuga: nei confronti dei non-ucraini c’è una sorta di ostracismo. Negli ultimi giorni mi sono trovato spesso ad offrire passaggi in macchina, da Medyka a Przemysl, a persone di altre nazionalità che avrebbero dovuto aspettare pazientemente ore dando la precedenza a tutte le persone ucraine, che allo stesso modo stanno scappando da una guerra.

Vorrei ma non posso fare a meno di fare il paragone con Idomeni, le stesse vite sospese. C’è chi si ostina a trovare delle differenze in questa umanità ma io personalmente non riesco a vederne. Finiamo per essere simili in questi momenti di difficoltà e miseria. Gli stessi sguardi stanchi, le stesse valigie piene di tutto ciò che si ritiene importante e la stessa potente necessità di trovare dall’altra parte qualcuno/a che tenda una mano.

 

*David Ruggini è un attivista e un collaboratore di Un Ponte Per. Nel 2016 abbiamo immaginato insieme il Solidarity Van: un camper solidale, attrezzato con pannelli solari, generatore, computer e wi-fi, con cui David è partito lungo la Rotta Balcanica per offrire sostegno alle persone migranti che tentavano di varcare le frontiere d’Europa. Dal 2019 al 2021 è stato Capo Ufficio a Beirut, in Libano. Con l’inizio dell’aggressione all’Ucraina si è spostato lungo il confine con la Polonia come attivista indipendente per portare la sua solidarietà alle persone in fuga dal conflitto.