GUERRA E PACE – Le tre guerre d’Ucraina

24 Giugno 2022, 10:54

Ci sono tre guerre in Ucraina. Occorre imparare a distinguerle se si vuole capire cosa succede e se si vuole cercare di fermarle.

 

di Fabio Alberti, ex Presidente e fondatore di Un Ponte Per

 

La prima, la più visibile, quella su cui i giornali e i politici parlano e commentano, è quella della Federazione Russia contro la Repubblica Ucraina. O meglio: del Governo russo, che ha ordinato l’invasione, contro le popolazioni ucraine, che si sono svegliate una mattina con i carri armati sotto casa.

La seconda è una guerra interna tra opposti nazionalismi. Il nazionalismo ucraino, che sventola le bandiere e vorrebbe un paese monoculturale cominciando con l’abolizione della lingua del 20% della popolazione come lingua ufficiale e il nazionalismo russo, quello di Putin e quello che invece di democrazia e diritti per tutti le minoranze ha chiesto separazione ed imbracciato le armi.

La terza guerra è quella per il dominio del globo. È quella tra il cosiddetto occidente che dopo il crollo economico e istituzionale dell’Unione Sovietica ha deciso di lavorare per la supremazia invece che per l’inclusione. È quella dell’élite oligarchica russa che vorrebbe ripristinare il bipolarismo, il condominio del terrore. È la guerra mondiale a pezzi di cui le prime due sono una parte.

Solo nella prima di queste tre guerre possiamo stare da una parte. È la parte di chi sta sotto. Di quelli la cui vita è stata travolta, che dormono nelle cantine o sono scappati, di quelli uccisi a freddo sulle strade o da ordigni sganciati da migliaia di chilometri. Ed è anche la parte dei ragazzi russi, mandati a morire con una divisa indosso e la testa riempita di sciocchezze nazionaliste, bruciati nei carri armati, giustiziati a freddo, calati nelle fosse comuni. Ed è anche la parte dei disertori, di tutte le parti e che da tutte le parti sono incarcerati e sottoposti al linciaggio morale.

Di questa guerra non c’è che un responsabile. Nessuna delle circostanze che possono essere richiamate per descrivere il processo, può, nemmeno per un instante, essere addotta a giustificazione. Né l’accerchiamento militare della Nato, né le violenze contro i russofoni in Donbass, né la presenza di nazisti in Ucraina. Niente di questo può giustificare la scelta di invadere un paese e promuovere un conflitto armato. Perché di scelta si è trattato. Esistono sempre delle alternative, e quella della guerra non è tra queste.

Per questo i pacifisti non sono “equidistanti”. Per questo chiedono come prima cosa che l’esercito russo si ritiri subito, senza condizioni. Ma nelle altre due guerre non si può essere partigiani. Non degli opposti nazionalismi, né di uno dei due pretendenti signori del mondo. È per questo serve una politica di neutralità attiva dell’Italia e dell’Europa.

Non si può parteggiare con chi vorrebbe una paese etnicamente omogenizzato, purificato nella sua ucrainicità, né con chi ha pensato che la discriminazione subita giustifichi imbracciare le armi e magari farsi un proprio stato. Questa storia degli Stati-Nazione ha fatto fin troppe vittime negli ultimi due secoli, da quando le élite europee hanno scoperto che l’identità è una potente risorsa politica per prendere e mantenere il potere.

In questa guerra di nazionalismi, occorre stare con chi, nella società civile ucraina e russa, con grande coraggio e sfidando il potere e l’attuale senso comune della gente manipolata dal delirio nazionalistico, continua a lottare contro le discriminazioni e per la costruzione di stati multiculturali, non di stati “nazionali”. Per quanto mi riguarda l’ultima parola sul tema l’ha detta Abdullah Ochalan dal carcere di Imrali dichiarando che per le popolazioni curde, nonostante le discriminazioni subite e finanche il tentativo di genocidio, non serve uno “Stato Kurdo”, ma uno stato democratico, anzi una confederazione democratica in cui tutti possano convivere.

Poi c’è la guerra geopolitica, che si nutre del nazionalismo per manipolare le masse. È la terza guerra mondiale a pezzi, quella iniziata dagli Stati Uniti dopo il crollo dell’economia e delle istituzioni sovietiche. L’”Occidente” decise allora di puntare sulla Supremazia che quell’evento le consegnava per renderla permanente a livello politico, economico e militare. Invece di aiutare la Russia a risollevarsi ed includerla nella casa comune europea, come proponeva Gorbaciov, ha deciso di escluderla, di farle la guerra in Serbia mentre la Nato la circondava militarmente con la politica delle “porte aperte” e l’allargamento ad est.

È la guerra che Putin e l’oligarchia russa hanno deciso di combattere sui corpi degli uomini e delle donne e sul territorio ucraini. Quei carri armati dicono della velleità di ripristino del potere imperiale che fu prima degli zar e poi dell’Urss. La rivendicazione di un’”area di influenza” rivela la volontà del ritorno all’equilibrio del terrore e al bipolarismo. Anche per l’establishment russo dopo l’89 non può esserci un mondo basato sulla cooperazione tra i popoli, ma deve permanere la spartizione ed è così che si è nutrito un nazionalismo esasperato per coprire la progressiva erosione di diritti e democrazia.

In questo scontro tra chi vuole essere il solo padrone del mondo e chi propone un condominio non si può prendere partito. Nasce qui la necessità di una nuova politica estera basata sul concetto di neutralità attiva.

Se non ci fossero le altre due guerre, quella nazionalista e quella geopolitica, il ragionamento di chi vede nella fornitura di armamenti all’esercito ucraino un mezzo per abbreviare la guerra e per ridurre le vittime avrebbe forse un senso. Ma così non è.

Oggi le armi non servono per far finire la guerra, ma per farla durare all’infinito. Il prolungamento della guerra per fare dell’Ucraina, sulla pelle degli ucraini e delle ucraine, un nuovo Afganistan in cui impantanare la Russia è l’obiettivo dichiarato degli Stati Uniti al cui disegno egemonico la pace non è utile. Più armi significano più morti e più sofferenze.

Se si trattasse solo di un confronto Russia/Ucraina sarebbe tutto sommato facile farlo finire. I termini di un possibile compromesso sono già noti e sono sul tavolo della trattative da tempo, ma la dimensione internazionale della guerra impedisce di trovare un accordo.

Lo testimonia la rapidità con la quale il segretario generale della Nato ha prontamente smentito Zelensky sulla Crimea e confermato la volontà di allargamento ad est dell’alleanza militare. È la Nato che il 29 e 30 giugno si riunirà nuovamente a Madrid per concludere formalmente il processo di trasformazione in strumento militare del dominio globale dell’Occidente adottando il nuovo “concetto strategico” finalizzato al “mantenimento della supremazia”.

Nuovi e più pericolosi conflitti sono all’orizzonte.

Articolo pubblicato sul mensile savonese La Scintilla, maggio 2022 e su www.fabioalberti.it