Il nuovo Iraq deve ancora venire

4 July 2023, 11:35

Sorry, this entry is only available in Italian. For the sake of viewer convenience, the content is shown below in the alternative language. You may click the link to switch the active language.

Le nuove generazioni irachene denunciano le storture di quello che doveva essere “il nuovo Iraq”. Le giovani donne alzano la testa per ribadire il proprio diritto a esistere, a scegliere per sé e per il proprio paese.

di Silvia Abbà – Coordinatrice internazionale di ICSSI* e autrice del libroIl mio posto è ovunque. Voci di donne per un altro Iraq”.

Parlando con giovani irachene e iracheni stupisce quanto la Storia – quella che abbiamo letto sui libri di scuola – si intrecci alle concrete storie personali, come i grandi eventi si siano incastonati nelle loro esistenze quotidiane determinandone il corso, la geografia, le tempistiche. Sahar Salam è una donna di Baghdad di 29 anni, da 3 anni lavora con Un Ponte Per come responsabile del progetto “Al Thawra Untha” (La rivoluzione è donna), finanziato dal ministero degli Affari esteri olandese.

Ho vissuto tutta la mia vita a Baghdad, tranne due anni, dal 2008, quando la mia famiglia è stata costretta a trasferirsi in un altro governatorato. La prima settimana dopo il nostro ritorno a Baghdad abbiamo ricevuto una busta con dei proiettili dentro e ci siamo detti ‘O restiamo, o ce ne andiamo per sempre’. Abbiamo deciso di rimanere e rischiare. Per fortuna ci è andata bene

Sahar fa riferimento agli anni di conflitto civile che hanno seguito l’intervento militare a guida statunitense della coalizione internazionale. La seconda guerra del Golfo, iniziata a marzo del 2003, ormai 20 anni fa. Lei è cresciuta nel nuovo Iraq, in un paese senza dittatori, formalmente democratico, in cui le donne dovevano essere – finalmente – libere. Eppure, le proteste scoppiate nell’ottobre 2019, che hanno portato migliaia di persone nelle piazze delle città irachene, parlano di corruzione endemica, di mancanza di servizi di base e gravi inefficienze. Sono il sintomo di una profonda crisi di legittimità del sistema settario inaugurato all’indomani della cacciata di Saddam Hussein e del partito Ba’th dal potere. Proteste simili, però, erano già scoppiate negli anni precedenti. La vera novità, questa volta, è stata la partecipazione massiccia delle donne, nelle piazze e negli spazi virtuali dei social media.

Piazza Tahrir a Baghdad, durante le proteste del 2019

“Prima del 2019 c’erano state diverse altre proteste, più piccole, che non avevano avuto alcun effetto reale. La Rivoluzione di ottobre è stato un momento storico per il femminismo perché le donne erano in prima linea”, racconta. Oggi, le nuove generazioni denunciano le storture di quello che doveva essere il nuovo Iraq, e in particolare le giovani donne alzano la testa per ribadire a gran voce il proprio diritto a esistere, a scegliere per sé e per il proprio paese.

“Essere femministe significa assicurarsi che le donne siano trattate in modo equo. Difendere i loro diritti a prescindere dal contesto di provenienza, dalla religione, dalla nazionalità”, spiega Sahar. Le voci delle attiviste e femministe irachene ci guidano nella tessitura di nuove alleanze di cui, oggi, abbiamo estremamente bisogno per costruire, insieme, un mondo in cui tutte potremo essere libere.

*Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI) è una coalizione irachena e internazionale di attivisti/e che si batte per la giustizia, il rispetto dei diritti umani e la pace in Iraq. https://www.iraqicivilsociety.org/