From Sinjar to the Italian Parliament: #RecognizeYazidiGenocide
Nell’agosto di 9 anni fa, i miliziani Daesh/Isis giunsero sui monti del Sinjar con un obiettivo specifico: sterminare la comunità ezida, una tra le più antiche minoranze religiose del fitto mosaico iracheno.
Decine di migliaia di persone furono costrette alla fuga, mentre a migliaia vennero uccise o ridotte in schiavitù dagli uomini di al-Baghdadi. Fu un genocidio. Eravamo a loro fianco in quei giorni drammatici e fummo testimoni di quanto stava accadendo.
A quasi 10 anni da quei terribili eventi, lo scorso 8 novembre abbiamo accompagnato Farhan e Ghazala, direttore e direttrice programmi di Youth Bridge Organization del Sinjar (Iraq), ad un’audizione a Roma di fronte al “Comitato permanente sui diritti umani nel mondo”, presieduto dall’On. Laura Boldrini nell’ambito della Commissione Affari Esteri della Camera.
Insieme a Farhan e Ghazala, abbiamo chiesto che anche l’Italia riconosca il genocidio ezida, come è già stato riconosciuto dalle Nazioni Unite, dal Parlamento Europeo e da diversi stati nazionali.
Riconoscere un genocidio significa gettare le basi fondamentali affinché non si ripeta mai più, significa trovare soluzioni per proteggere le persone che lo hanno subito, come ad esempio familiari o parenti, dando loro accesso (e diritto) a qualche tipo di giustizia riparativa.
L’Italia può svolgere un ruolo fondamentale a livello internazionale per fornire protezione, sostegno e stabilità alla comunità ezida e alle altre minoranze religiose, affinché la storia non possa ripetersi. Il Comitato permanente sui diritti umani si è assunto l’impegno di lavorare in questo senso e speriamo pertanto che sia possibile quanto prima giungere ad un riconoscimento ufficiale. #RecognizeYazidiGenocide
A FIANCO DELLA COMUNITÀ EZIDA
“Noi di Un Ponte Per abbiamo sempre considerato gli attivisti ezidi come cari amici e coraggiosi difensori dei diritti umani, in lotta per proteggere il proprio popolo dalle persecuzioni punto quando accompagnavamo delegazioni italiane nel nord dell’Iraq e volevamo far capire alle persone quanto ricco e complesso fosse il patrimonio culturale iracheno, le guidavamo sempre al santuario ezida di Lalish. Ma molti aspetti della loro vita e cultura ci rimanevano sconosciuti. Ad esempio, per anni abbiamo continuato a chiamarli gli yazidi, ignari che quel nome rappresentasse il tentativo da parte di alcuni di dipingerli erroneamente come seguaci del Califfo omayyade Yazid I o addirittura di attribuire loro la responsabilità dell’assassinio dell’Imam Hussein. Poi, nel 2014, tutto è cambiato. La dimensione delle persecuzioni precedenti che gli ezidi avevano subito nella storia ha assunto i caratteri del genocidio dopo l’avanzata di Daesh e la sua conquista di una vasta area della Piana di Ninive. Daesh ha occupato gli uffici dei nostri partner di tanti progetti, l’associazione “Ezidi Solidarity and Fraternity League”, e i nostri amici sono diventati sfollati interni che ci hanno dovuto raggiungere ad Erbil e Dohuk. Da quel momento abbiamo iniziato a collaborare con gli attivisti ezidi che volevano documentare le violazioni dei diritti umani che avevano subito, e provare che i massacri, la riduzione schiavitù delle donne dei bambini, le conversioni forzate e l’esilio potevano essere definiti come genocidio. E questa, alla fine, è stata anche l’opinione espressa dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite che lo ha stabilito in un report ufficiale del marzo 2015″.
Tratto dalla Prefazione di Martina Pignatti Morano al libro “EZIDI IN IRAQ. Storia, memoria e credenze” di Sa’ad Salloum, edito in italiano da Un Ponte Per in una delle primissime pubblicazioni in italiano su questo tema.