Al fianco dei giornalisti e delle giornaliste di Gaza

2 Maggio 2024, 18:18


Secondo i dati diffusi da Reporter Senza Frontiere, che monitora le violazioni commesse nel mondo contro operatori e operatrici dell’informazione, dal 7 ottobre a Gaza sono stati/e uccisi/e almeno 105 giornalisti e giornaliste nell’esercizio del loro mestiere. Secondo fonti locali palestinesi, il numero sarebbe però ancora più alto, considerando le migliaia di persone rimaste ancora sotto le macerie o disperse: si toccherebbe la cifra di 130 giornalisti e giornaliste uccise dall’inizio dell’offensiva militare israeliana, pari al 75% di tutti gli operatori che hanno perso la vita nell’intero 2023.

A lanciare l’allarme sono tutte le organizzazioni internazionali che monitorano la libertà di stampa nel mondo, tra cui il Commitee to Protect Journalists (CPJ), che da mesi sta tenendo alta l’attenzione per richiedere protezione internazionale verso chi, oggi, rappresenta l’unica testimonianza di quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza.

Già poche settimane dopo l’inizio delle operazioni militari israeliane, il Sindacato della Stampa palestinese aveva definito quanto sta accadendo un “giornalisticidio”: gli operatori e le operatrici dell’informazione palestinesi non “muoiono” infatti sotto le bombe, ma vengono uccise/i, e sono divenuti/e ormai un target delle forze armate israeliane.

In un contesto nel quale – è bene ricordarlo – è completamente impedito l’accesso alla stampa internazionale, i giornalisti e le giornaliste palestinesi sono gli unici testimoni di quanto sta accadendo, e continuano a fare il proprio lavoro raccontando in diretta un genocidio che li/e colpisce direttamente. Basti pensare al prezzo pagato da molte/i di loro, che vivono oggi sfollati/e, che hanno visto le proprie case distrutte e le proprie famiglie sterminate: è il caso, tra gli altri, di Wael Dahdouh, veterano di Al Jazeera a Gaza, che ha perduto moglie e figli, tra cui Hamza Dahdouh, anche lui giornalista, ucciso da un bombardamento mirato su un convoglio della stampa.

 

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In questo video Instagram, Wael Dahdouh esprimeva riconoscenza al pubblico dopo la grande solidarietà ricevuta all’indomani dell’uccisione di suo figlio Hamza. Una perdita avvenuta dopo quella di sua moglie, dei suoi fratelli e di altri parenti e colleghi.

Oggi celebriamo la Giornata mondiale della libertà di stampa, e il nostro pensiero non può che andare a Gaza. Il luogo in cui anche il diritto di informare ed essere informati/e viene costantemente violato.

Il divieto imposto alla stampa internazionale di accedere a Gaza rappresenta infatti una gravissima violazione della libertà di stampa e informazione in Europa e in Occidente. Allo stesso tempo, è fondamentale ricordare il preziosissimo lavoro di informazione viene portato avanti quotidianamente da giornaliste e giornalisti di Gaza, la cui voce andrebbe ascoltata e amplificata.

“Il problema non è che a Gaza non possano entrare i giornalisti occidentali”, ha scritto di recente Hossam Shabat, giovane giornalista palestinese. “Il problema è che noi giornalisti palestinesi non siamo rispettati. Io e i miei colleghi ogni giorno rischiamo la vita per raccontare questo genocidio. Nessuno conosce Gaza meglio di noi. Se tenete a quanto sta accadendo qui, amplificate la nostra voce. Non abbiamo bisogno di giornalisti occidentali per raccontare le nostre storie: siamo capaci di farlo da soli”.

 

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Hossam Shabat, in una delle tante dirette da Gaza

Anche Youmna El Sayed, a cui la nostra amica Rita Petruccioli ha dedicato il bellissimo ritratto in copertina per la campagna “Libere di Rompere”, ha raccontato al Manifesto:

“In Occidente si pensa che i giornalisti palestinesi debbano necessariamente essere affiliati a un qualche gruppo politico e dunque non possano essere oggettivi. È ridicolo. Quando i giornalisti stranieri entrano a Gaza, lo fanno con l’aiuto di un fixer palestinese, di un traduttore palestinese. Parlano con funzionari palestinesi e con la popolazione palestinese. Quelle sono considerate storie credibili, ma le nostre no”.

 

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Youmna El Sayed, mentre esplode una bomba israeliana alle sue spalle.

E allora, dedichiamo questo 3 maggio a tutte le giornaliste e i giornalisti di Gaza. A chi ha perduto tutto, a chi è stato/a ucciso/a, a chi dopo 6 mesi di massacri ininterrotti continua ogni giorno a fare il proprio lavoro con professionalità e coraggio. E rinnoviamo il nostro appello ad amplificare le loro voci, uniche testimonianze dirette del genocidio in corso ai danni della popolazione palestinese.