Fotografia e autonarrazione con le bambine di Shatila

29 Gennaio 2024, 18:08

In Libano Un Ponte Per ha realizzato laboratori fotografici con le bambine palestinesi del Campo profughi di Shatila. L’iniziativa di pedagogia popolare, volta a stimolare l’autonarrazione, l’espressione di sè e la consapevolezza delle proprie emozioni, ha portato dei risultati sorprendenti anche in termini di “mappatura dei bisogni” di chi vive la realtà del campo.

Le immagini sono da sempre uno strumento molto forte per raccontare sé stessi e la propria relazione con la realtà. Sono un modo per definire la storia di ognuno/a e quella del mondo che lo/a circonda.

Le immagini (e le narrazioni) dei contesti marginali però vengono spesso imposte da altri, da chi quei contesti non li vive. Succede nelle nostre periferie, che vengono spesso raccontate superficialmente nei media mainstream come luoghi di degrado e sofferenza, senza alcun approfondimento sulle cause profonde di quegli stessi fenomeni.

Nel nostro piccolo noi di Un Ponte Per proviamo ad invertire questa tendenza nel Campo profughi palestinese di Shatila (a Beirut). Qui vivono almeno 20.000 persone – principalmente palestinesi e siriane – in condizioni drammatiche, senza acqua potabile né servizi di base. Il 60% sono bambine e bambini.

Insieme a circa 20 di loro, tra i 7 e gli 11 anni, abbiamo organizzato un laboratorio fotografico di autonarrazione, costruendo anche una piccola camera oscura.

Come vivi la tua casa? Cosa provi quando cammini per strada? Cosa ti piace e cosa non ti piace di quello che vedi?, sono solo alcune delle domande a cui bambini e bambine hanno provato a rispondere attraverso le immagini.

Durante il laboratorio, hanno imparato a costruire anche una piccola camera oscura artigianale con la quale sviluppare le loro fotografie. Ma soprattutto hanno imparato a raccontare una storia, un’emozione e anche sé stessi e la propria storia, tramite l’uso delle immagini.

Sviluppare una conoscenza più profonda del luogo vissuto significa spesso stimolare un senso di appartenenza e di cura per ciò che si ha intorno. I bambini e le bambine hanno indicato attraverso le immagini quello di cui avrebbero davvero bisogno, costruendo una autonarrazione della propria realtà e della propria identità, che può essere davvero importante in una chiave di ‘cittadinanza’ attiva, consapevole e partecipe.

[cittadinanza è forse un ossimoro, in quanto i/le palestinesi in Libano non sono cittadine/i e il loro status è quello di “persone rifugiate”, ormai da più generazioni]

Il risultato del laboratorio è ciò che potremmo definire una accuratissima “mappa dei bisogni” del campo, davvero potente perché costruita dal basso (in tutti i sensi) e da chi quel contesto lo vive ogni giorno sulla propria pelle, tra privazioni e invisibilità. Sono state davvero giornate emozionanti, che ci indicano come la strada intrapresa sia quella giusta.

L’iniziativa è stata realizzata negli spazi dello Shatila Sport Center, un centro polifunzionale che si trova all’interno del campo profughi dove bambini e bambine possono giocare e praticare diversi sport, ricevere un supporto educativo, usufruire di corsi di lingua, disegno e materie artistiche.

Uno spazio ristrutturato, equipaggiato e tuttora sostenuto con i fondi donati a “Emergenza Libano” dai donatori privati di Un Ponte Per e che oggi è frequentato da circa 100 bambini/e.

Ringraziamo Daniele Napolitano per aver immaginato, organizzato e condotto i laboratori, con il supporto delle Corpi Civili di Pace di Un Ponte Per, Majdi Adam e le ragazze di Basket Beats Borders che ogni giorno portano avanti un lavoro straordinario con i bambini e le bambine di Shatila Camp.