Siria: bombardamenti turchi colpiscono la popolazione civile
Da mesi proseguono gli attacchi indiscriminati dell’esercito turco sul nord est della Siria. A partire dal 13 gennaio scorso si sono intensificati, causando una situazione di emergenza di cui sta pagando il prezzo la popolazione. La testimonianza del nostro staff sul campo.
“Siamo senza acqua, senza elettricità e gravemente limitati negli spostamenti. Le temperature nel frattempo sono scese sotto lo zero. Non sappiamo dire per quanto ancora riusciremo a garantire servizi salvavita”.
E’ preoccupato Rizwan Ul-Haq, Capo missione di Un Ponte Per nel nord est del paese, all’indomani dei peggiori bombardamenti degli ultimi mesi.
Anche se i media non ne hanno parlato, tra il 13 e il 16 gennaio le forze armate turche hanno effettuato centinaia di bombardamenti su obiettivi civili: sono state colpite stazioni idriche, di carburante e gas, centrali elettriche e ad altre strutture fondamentali, compresi ospedali.
Al momento, il lavoro del nostro staff sul campo è altamente compromesso: “Come operatori umanitari chiediamo di poter continuare a fornire assistenza alle persone che da oltre 12 anni stanno subendo gli effetti della guerra in Siria, garantendo loro accesso al supporto di cui hanno bisogno”, sottolinea Rizwan.
Gli attacchi turchi in Siria proseguono da mesi, ma a partire dal 13 gennaio scorso ci sono stati oltre 220 bombardamenti che hanno interessato le aree comprese tra Derik, Qamishlo, Amuda e Kobane, a cui si aggiunge il lancio di altri 112 attacchi via terra. Sono stati colpiti 92 siti civili e le vittime sono 12. Sono già 9 le centrali elettriche messe fuori servizio.
Quella di Swediyeh, che trasportava elettricità e gas per cucinare a circa 1 milione di persone, è stata messa completamente fuori uso. Ben 96 pozzi di acqua sono al momento inutilizzabili e altri 80 lo saranno a breve perché le scorte di carburante, da cui dipende il loro funzionamento, sono in esaurimento.
“L’accesso all’acqua di più di 800 mila persone non è più garantito”, spiegano dal campo. Dal 15 gennaio, 9 servizi vitali su 10 (tra cui quelli relativi a salute, nutrizione, acqua potabile, servizi igienico-sanitari) sono stati fortemente limitati in tutta l’area a causa degli enormi danni riportati.
La mancanza di carburante, acqua ed energia sta creando gravi limitazioni al nostro lavoro. Le restrizioni di movimento impediranno a breve di portare servizi e assistenza alla popolazione. L’assenza di corrente elettrica e acqua nelle cliniche e nelle strutture sanitarie che sosteniamo renderà impossibile garantire assistenza sanitaria e cure, anche salvavita, alle persone colpite.
La gravità della situazione ha già costretto i nostri operatori sul campo a fare scorta di carburante laddove possibile, in modo da poter garantire alcuni spostamenti e il funzionamento dei generatori, necessari per mantenere operative cliniche e ospedali.
Undici grandi città e paesi, così come oltre 2.700 villaggi e 1.900 scuole, sono al momento completamente senza elettricità.
Ma l’escalation non sta risparmiando i campi per persone sfollate, all’interno dei quali lavoriamo da anni per garantire assistenza sanitaria alle persone. Dal 15 gennaio infatti nei campi non arriva più carburante, e gli abitanti non hanno la possibilità di riscaldarsi o cucinare. Il blocco dei trasferimenti di carburante stanno paralizzando anche il trasporto di beni salvavita, come forniture mediche e cesti alimentari.
Stiamo assistendo a una gravissima violazione dei diritti umani fondamentali e delle leggi umanitarie internazionali, completamente calpestate dalle forze armate turche.
Nel nord est della Siria operiamo ormai dal 2015, con interventi di ricostruzione del sistema sanitario locale in collaborazione con numerosi partner locali. In questi anni insieme abbiamo garantito la riabilitazione e la creazione di oltre 15 cliniche e ospedali e di un sistema di ambulanze, garantendo il diritto alla salute alla popolazione colpita da 12 anni di conflitto.
Abbiamo assistito in prima persona a numerose crisi, ed esprimiamo la nostra viva preoccupazione per questa ennesima escalation, rimasta fuori dall’attenzione internazionale.