Acqua per Gaza: cosa stiamo facendo

9 Marzo 2024, 14:53

Aggiornamento del 28 marzo 2024

Dopo 40 giorni di campagna, abbiamo raccolto 31.572 euro. Dietro a questi numeri c’è l’impegno di tante persone, associazioni e realtà locali, grazie alle quali siamo riusciti/e a raggiungere il primo grande obiettivo: garantire acqua, kit igienici e pacchi alimentari a 2.000 famiglie.

Inoltre, come attività nel lungo termine, ripareremo alcune delle infrastrutture idriche danneggiate dagli attacchi israeliani, ponendo le basi per la ripresa futura della comunità.

Con il nostro partner palestinese UAWC, abbiamo deciso di prolungare la durata della campagna di raccolta fondi. “Continueremo a lavorare fino a che ci sarà una guerra genocida e fino a che le persone di Gaza avranno bisogno di aiuto umanitario” ci ha comunicato UAWC. E noi non li/lasceremo soli/e.

Come riusciamo a portare acqua e cibo nella Striscia di Gaza 

Le attività vengono svolte attraverso una combinazione di distribuzione diretta alle famiglie e collaborazione con organizzazioni locali per raggiungere le popolazioni più vulnerabili. Il nostro partner locale UAWC, utilizza unità di distribuzione mobili per aree ad accesso limitato e stabilisce punti di distribuzione nelle aree che sono meno a rischio di attacco israeliano.

La parte fresca dei pacchi alimentari viene ottenuta dai pochi contadini che, nonostante le difficoltà, continuano a coltivare a Der-al-Balah e Khan Yunis, dove continua il tentativo di resistere anche a livello economico al brutale assedio militare. Questi contadini sono in contatto con i Comitati locali dell’UAWC, che acquistano i loro prodotti. I fondi arrivano da Ramallah ai conti correnti dei Comitati, che poi confezionano e distribuiscono i pacchi alimentari.

Il cibo non fresco viene procurato attraverso i pochi camion che riescono ad entrare, concentrandosi solo sui beni essenziali come olio e scatolame. Prodotti che hanno subito un aumento vertiginoso dei prezzi. L’acqua viene prelevata da due pozzi ancora funzionanti nel sud e poi distribuita tramite cisterne, in un sistema consolidato durante gli anni di assedio.

UAWC sta cercando di riabilitare due pozzi a nord per le persone rimaste, con l’intenzione di utilizzare pannelli solari se possibile. Questo sforzo è anche un atto di resistenza, una dimostrazione che quella terra appartiene alla comunità.

Nel frattempo, si sta mappando la situazione dei pozzi a sud nella speranza di riabilitarli nella misura del possibile. La riabilitazione dei pozzi è una delle prime attività di emergenza che vengono intraprese, tutto in collaborazione con i Comitati locali di UAWC.


Aggiornamento del 11 marzo 2024

Un Ponte Per inizia a distribuire cibo a Gaza

Lo scorso 6 marzo abbiamo distribuito i primi pacchi alimentari a Rafah.

Pochi giorni fa, con la campagna ACQUA PER GAZA che mira a fornire aiuti immediati al nostro partner, la Union of Agricoltural Work Committes (UAWC), abbiamo distribuito pacchi alimentari alle famiglie palestinesi che si trovano a Rafah. Tutto è stato accuratamente riempito in piccoli sacchetti prima della distribuzione.

In tre settimane, la campagna ha raccolto 22.000€ grazie ad oltre 290 donazioni. Dietro a questi numeri c’è l’impegno di tante persone e realtà locali, grazie alle quali siamo riusciti a raggiungere il primo grande obiettivo.

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Condanniamo fermamente l’uso della fame e della sete come strumento di genocidio da parte dell’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza.

Ci uniamo alla lettera del nostro partner palestinese UAWC, che:
– Chiede la fine immediata dell’uso da parte di Israele e dei suoi alleati della fame come strumento di genocidio contro i palestinesi
– Esorta tutti gli stati e le istituzioni internazionali a intraprendere ogni azione possibile per porre fine immediatamente al blocco degli aiuti umanitari;
– Chiede di aprire un’indagine verso tutti gli attori statali e non statali che hanno partecipato direttamente e indirettamente al blocco e/o alla distruzione dei rifornimenti a Gaza;
– Chiede che la campagna volto al taglio dei fondi dell’UNRWA sia indagata come un possibile atto volto alla promozione e facilitazione della fame e/o del genocidio.


Aggiornamento del 6 marzo 2024

Un Ponte Per sta fornendo acqua a Gaza

Grazie alle prime donazioni arrivate per la campagna Acqua per Gaza, i camion di acqua hanno raggiunto Gaza. Nelle prossime ore verranno distribuiti anche cibo e kit igienici.

In fila sono tanti/e i/le bambini/e che sono accorsi/e alla distribuzione di acqua potabile. La maggior parte hanno circondato il camion dell’acqua con taniche gialle e carrelli improvvisati per facilitare il trasporto. Alcuni vivono nelle tende vicine, altri in insediamenti più lontani. Alcuni/e bambini/e sono stati/e aiutati/e dagli operatori di UAWC (l’organizzazione palestinese nostra partner che lavora sul campo) a portare l’acqua nelle loro tende.

L’acqua distribuita dallo staff di UAWC ha raggiunto 750 persone a Rafah, nell’area di Tal al-Sultan.

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Con oltre due milioni di persone a Gaza sotto assedio, la situazione idrica è disperata. Le bombe israeliane hanno deliberatamente distrutto le infrastrutture idriche e il blocco agli aiuti umanitari (cibo e acqua inclusi), imposto dalle forze israeliane, ne sta limitando l’accesso.

Dal valico di Rafah la testimonianza di Alfio Nicotra, co-Presidente di Un Ponte Per

Stiamo raccogliendo testimonianze incredibili della situazione drammatica che c’è a Gaza. Bambini che muoiono disidratati di fame e malattie curabili. Siamo felici che le prime cisterne di acqua siano giunte finalmente a Gaza. Le persone stanno bevendo acqua delle fogne, acqua contaminata e addirittura acqua salata. È giunto il momento che il cessate il fuoco consenta il soccorso umanitario per la popolazione di Gaza

Secondo l’UNRWA, oggi il 70% della popolazione ricorre al consumo di acqua salata o contaminata. Nel frattempo, quello che si temeva sta accadendo: i bambini stanno morendo di fame e di sete. L’UNICEF ha dichiarato che “negli ultimi giorni almeno dieci bambini sono morti a causa della disidratazione e della malnutrizione nell’ospedale Kamal Adwan, nel nord della Striscia di Gaza”.


 

Aggiornamento del 21 febbraio 2024

Un messaggio per chi sta sostenendo la campagna

Gli sforzi che state facendo per sostenerci rappresentano un contributo vitale, e ci ricordano che nel mondo c’è ancora qualcosa di buono. Ogni goccia d’acqua in questo oceano di necessità conta, e farà la differenza per tante e tanti”.

E’ il messaggio che ci hanno inviato pochi giorni fa i nostri partner della Union of Agricoltural Working Committees (UAWC), l’organizzazione palestinese che stiamo supportando con la nostra campagnaAcqua per Gaza, destinata a far arrivare ad almeno 2mila famiglie acqua pulita e potabile nella Striscia di Gaza, sottoposta da 4 mesi a un attacco genocidiario da parte di Israele, e bloccata in un soffocante assedio militare.

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Parole scritte non appena ricevuta la notizia della eccezionale risposta di solidarietà mostrata da chi ci sostiene, già pochissime ore dopo il lancio della campagna. Un segnale forte dell’umanità rimasta salda nelle persone di fronte a quanto sta accadendo a Gaza. Dove, con una pervasiva sensazione di impotenza, si assiste ad una catastrofe umanitaria senza precedenti.

Dall’inizio dell’offensiva israeliana, che prosegue senza sosta da 4 mesi ad accezione di una brevissima pausa umanitaria a novembre, le vittime civili hanno superato la soglia delle 29mila. Di queste, oltre 13mila sono bambine e bambini.

Chi è sopravvissuto/a è, nella maggior parte dei casi, sfollato/a: il 90% della popolazione di Gaza è stato costretto ad abbandonare le proprie case, oggi per la gran parte completamente distrutte. Già nelle prime settimane dall’inizio della guerra 1 milione e 900 mila persone sono state costrette a spostarsi dal nord della Striscia di Gaza, completamente raso al suolo, verso il sud, dove le condizioni di accoglienza sono inimmaginabili.

Nelle aree di Khan Younis, Rafah, al Mawasi, dove resta operativo tra mille difficoltà e con un ufficio distrutto il team locale di UAWC, le condizioni di vita delle persone sfollate sono difficili da descrivere a parole. In rifugi di fortuna continuamente sotto attacco; nei corridoi di ospedali parzialmente distrutti e militarmente assediati o in tende di fortuna, uomini, donne e bambini/e non hanno accesso a cibo, cure mediche, assistenza umanitaria di base, cibo, acqua potabile.
Sin dall’inizio delle sue operazioni militari, Israele ha infatti chiuso i confini e fatto entrare aiuti con il contagocce, e nello stesso tempo danneggiato o distrutto intenzionalmente strutture fondamentali come centrali elettriche, idriche, impianti di desalinizzazione dell’acqua.

Già da settimane, la popolazione civile di Gaza, compresi bambini e bambine, è costretta a bere acqua salata, non pulita, contaminata, spesso presa direttamente dal mare. Colera, epatiti e diarrea sono già diffuse come epidemie.

Le stime diffuse dall’UNICEF spiegano che i bambini e le bambine riescono ad avere accesso ad appena 1 litro di acqua al giorno, quando sarebbero 15 i litri minimi necessari quotidianamente ad una persona per bere, cucinare, prendersi cura della propria igiene.

In un recentissimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), viene posto l’accento su questo punto. “L’inadeguato accesso ad acqua potabile, così come la carenza di acqua pulita per cucinare e per le necessità igieniche, stanno contribuendo a disidratazione, malnutrizione, malattie”. I dati mostrano che il 90% dei bambini e delle bambine al di sotto dei 5 anni oggi a Gaza, sono malati/e per questa ragione. “Un tale declino delle condizioni di vita di una popolazione in un tempo così breve è senza precedenti”, sottolinea il rapporto.

Condizioni terribili anche a livello sanitario e igienico: i servizi a disposizione sono 1 per 600 persone, mentre gli ospedali e le strutture sanitarie rimaste in piedi affrontano situazioni mai testimoniate prima.

Una situazione catastrofica, che già era critica prima dell’offensiva israeliana. A causa dell’assedio continuo imposto da Israele sulla Striscia di Gaza a partire dal 2007, anche prima della guerra la popolazione non aveva adeguato accesso all’acqua potabile: Gaza era costretta a fare affidamento agli impianti di purificazione e desalinizzazione, già insufficienti a garantire le necessità.

A Gaza, prima della guerra, il 97% dell’acqua disponibile non era adeguata all’uso umano, e la quantità per persona era ben al di sotto degli standard stabiliti dall’OMS. Una situazione che è precipitata con la decisione da parte delle autorità israeliane di negare completamente l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia nelle prime 2 settimane di guerra, e di lasciarne entrare un numero gravemente insufficiente in seguito, solo a partire dalla fine di ottobre.

“Per renderlo chiaro: ogni scarico di una normale toilette necessita 6 litri di acqua. Per lavarsi correttamente le mani ne occorrono 4 ogni volta. Una doccia di 5 minuti ne richiede 40. Per cucinare un pasto veloce ne servono almeno 2”, scrive l’American Near East Refugee Aid (Anera). Un quadro che diventa apocalittico se si pensa all’uso di acqua di cui necessitano ospedali e strutture sanitarie, ridotti a praticare interventi chirurgici senza le minime condizioni igieniche necessarie.

Ma mentre scriviamo, i bombardamenti a tappeto contro la Striscia di Gaza non si fermano. E continuano a danneggiare in modo irreparabile le infrastrutture necessarie alla sopravvivenza, tra cui quelle idriche. Solo in due giorni, tra il 4 e il 5 novembre scorso, i bombardamenti ne hanno colpite 7 nelle aree di Khan Younis e Rafah, considerate “sicure” e dove le persone sono state costrette a spostarsi. Qui sono rimasti operativi solo due impianti per la purificazione dell’acqua, ma che operano solo al 30% delle loro capacità.

Ecco perché l’invio di aiuti attraverso i camion che riescono a passare dal valico di Rafah restano l’unica e più efficace possibilità di far arrivare alla popolazione un minimo dell’acqua di cui avrebbe bisogno. Ed ecco perché abbiamo risposto all’appello del nostro partner, UAWC, per agire immediatamente e portare acqua pulita a 2mila famiglie.

Quello che sta succedendo non è un effetto della guerra, ma il risultato di una politica indiscriminata e dichiarata da parte di Israele, che dall’inizio della sua offensiva militare ha impedito l’accesso di aiuti umanitari, cibo e acqua potabile all’interno della Striscia di Gaza.

L’offensiva militare è uno strumento, violento e inumano, di un genocidio che stiamo continuando a denunciare.

La situazione a livello umanitario è diventata talmente inimmaginabile, che è necessario agire adesso per dare un contributo, seppur minimo, a un popolazione portata allo stremo.

Con la campagna “Acqua per Gaza” vogliamo agire adesso, per permettere al nostro partner di portare nell’immediato acqua, pacchi alimentari e kit igienici alle famiglie sfollate a Gaza. Ma vogliamo anche garantire la riparazione di alcune infrastrutture idriche danneggiate dagli attacchi israeliani, per porre le basi della ripresa futura.

E’ molto commovente sapere che abbiamo persone amiche in Italia che non solo ci tengono nei loro pensieri, ma si attivano concretamente per sostenerci. La campagna che abbiamo lanciato e la risposta delle persone è per noi un faro di speranza e solidarietà, che non dimenticheremo mai”. Concludevano così il loro messaggio i nostri partner di UAWC.

Di fronte a quanto sta accadendo è facile sentirsi impotenti. Ma sono molte le cose che si possono fare per non tacere davanti a un genocidio trasmesso in diretta. Amplificare le voci delle persone palestinesi. Aderire alle campagne di boicottaggio. Donare per portare loro un minimo di sollievo. Per provare ad essere, insieme, quel “faro”.