Lesbo. Dove tutto può cambiare

24 Febbraio 2016, 14:19

Una nuova pagina di diario da Lesbo. Dove un militante dell’ultra-destra xenofoba svizzera incontra un bambino, e ritrova la sua umanità.

Pochi posti come quest’isola vedono susseguirsi dei cambiamenti cosi repentini.

Gli sbarchi vanno e vengono con una frequenza impressionante, eppure solo una settimana fa si erano improvvisamente fermati, i barconi erano bloccati sulle coste turche.

Solo 10 giorni fa i campi erano praticamente vuoti, una situazione diametralmente opposta rispetto alla nostra prima missione di gennaio.

Ora si sono nuovamente riempiti di migranti che con bagagli colmi di ricordi, ma ancor più di speranze, si apprestano a continuare il loro viaggio, autorizzati a farlo o meno.

Da un mese a questa parte i volontari, che avevano attirato l’attenzione mediatica per il loro attivismo, sono stati obiettivo di forti restrizioni da parte dell’autorità nazionale greca, che vorrebbe limitarli, ma al momento la legittimità acquisita tra i rifugiati e anche tra gli “addetti ai lavori” rimane ancora un buon mezzo di difesa nei confronti di chi li considera un problema, un ostacolo al modello di gestione della crisi che vorrebbero imporre.

Tutto cambia rapidamente, anche a seconda degli sconvolgimenti che avvengono dall’altra parte del mare. In Turchia, ma anche e soprattutto in Iraq e in Siria.

E in un luogo dove tutto cambia… tutti possono cambiare.

Lui, Gunter (nome di fantasia), 46 anni, svizzero, ha un negozio di scarpe a Lugano. Ma soprattutto è un militante di uno dei tanti partiti xenofobi che sulla pelle dei migranti giocano le loro sporche campagne elettorali. Sua moglie Muriel (nome di fantasia) è invece una donna aperta, figlia di quella cultura pacifista e di quella umanità che non riesce a considerare chi è diverso come un pericolo.

Una coppia strana la loro: non hanno figli, e ci si chiede come sia possibile che vivano insieme da più di 20 anni.

Gunter è una di quelle persone che ha sempre guardato con disprezzo chi cercava di valicare i “suoi confini” in cerca di un futuro migliore.

Secondo lui, quella è sempre stata una scusa usata da chi, una volta che aveva reso invivibile il proprio paese, veniva a cercare fortuna nel suo.

Non migranti o persone in fuga quindi, ma una sorta di “barbari-pirati” che devastano i paesi che attraversano, togliendo il lavoro ai bravi ragazzi svizzeri ed europei, molestando le donne e cercando di imporre le idee della loro religione.

Proprio a noi che invece siamo terra di tolleranza e morigeratezza.

La guerra in Siria e la devastazione di quell’area, le immagini delle migliaia di profughi che attraversano il mare per arrivare in Europa, hanno attirato l’attenzione di Muriel e l’hanno spinta a voler partire come volontaria alla volta di Lesbo per aiutare quella gente.

– “Non ci andrai mai! Non te lo posso permettere!”. Questa è stata la prima reazione di Gunter.

-“Io ci andrò. Se non ti fidi e hai paura per quello che potrebbe accadermi, vieni con me”, la risposta di Muriel.

– “…una settimana. Non di più. Se vedremo che la situazione è pericolosa torneremo subito a casa”.

E cosi, in maniera inaspettata e assolutamente controvoglia, ecco che anche Gunter prepara i suoi bagagli, inveendo contro la moglie e contro quegli stranieri che lo costringono a partire, solo ed esclusivamente per proteggere la sua signora, così ingenua e indifesa, dalle grinfie di quei potenziali terroristi.

Pensa a quello che potrebbe accadergli e si agita, dipendesse da lui porterebbe la pistola. Più che chiudere una valigia, per lui si tratta di una sorta di preparazione ad una guerra tutta sua.

Arrivano a Lesbo, atterrano a Mitilene, prendono un albergo in città. Il giorno dopo visitano i campi di Moria e Kara Tepe e qualcosa colpisce Gunter: in quei volti, negli sguardi di quelle persone che vivono in quei campi, per quanto voglia non riesce a vedere quei pericoli di cui la propaganda del suo partito ha riempito le testate dei giornali e le menti dei militanti, compresa la sua.

Si sforza, ma non li vede, non ci riesce. Sente che qualcosa gli sta sfuggendo.

Così, con qualche dubbio appena germogliato in quell’animo cosi fiero e granitico, qualcosa inizia a muoversi.

È notte quando dai gruppi whatsapp di coordinamento della costa sud arrivano segnalazioni di barconi che stanno avvicinandosi alle coste di Lesbo.

Muriel costringe Gunter a prendere la macchina, e via verso i punti di osservazione dei volontari che presidiano le spiagge. C’è il fuoco acceso, i volontari con i fari delle auto e le torce individuano il barcone, segnalano il miglior punto di attracco. Frontex non li ha visti. Il barcone arriva.

Tutti si lanciano in soccorso, si crea il “corridoio centrale” per permettere ai migranti di scendere dalla barca. Le donne piangono, gli uomini passano i bambini in braccio ai volontari, bagnati fradici, tutti stretti da quei salvagente che in caso di naufragio non salverebbero proprio nessuno.

Anche Muriel aiuta i migranti a scendere, riceve un bambino in braccio e, seguendo la catena umana, lo passa a Gunter.

Lui rimane impietrito, tiene questo bambino che non avrà più di due anni. Il bimbo è calmo, come molti della sua età che non hanno ben capito cosa gli stia succedendo. Per loro potrebbe essere un gioco quella traversata, un’avventura.

Gunter trema, lo tiene in braccio e lo stringe. Non riesce a muoversi, guarda il bambino che lo fissa con aria spaesata, ma tranquillo. Si sente al sicuro tra le braccia di quell’uomo. Chi invece non si sente sicuro è proprio Gunter.

Non è più sicuro di nulla, si guarda intorno, vede quelle donne, quegli uomini stanchi, terrorizzati ma felici. Felici di avercela fatta, di ricevere un’accoglienza umana da parte di altri esseri umani che li abbracciano, li coprono, li curano.

Muriel guarda Gunter, capisce che qualcosa sta accadendo in lui.

Gunter continua a tenere stretto il bimbo, fino a quando arriva il pullman dell’UNHCR che carica i migranti per portarli al centro di registrazione. Riconsegna il bambino ad un uomo, probabilmente siriano, che reclama il figlio. Gunter si chiede come sia possibile tutto ciò che sta vivendo. Quell’uomo a cui sta restituendo il bambino non è un terrorista, è un padre, praticamente suo coetaneo, non ha più dubbi su questo.

Alla fine Gunter e Muriel a Lesbo ci sono rimasti un mese.

E raccontando la sua storia agli altri volontari, con gli occhi lucidi di chi si sente colpevole per aver giudicato degli esseri umani senza saperne assolutamente nulla, scuotendo la testa ripete:

“Tornerò a casa e andrò dal partito..Ci avete fatto il lavaggio del cervello, niente di quello che avete detto era vero…all bullshits!”.

Anche questa è Lesbo…dove tutto cambia e tutti possono cambiare.

Farebbero bene a seguire l’esempio di Gunter anche tutti quei fervidi patrioti italiani ed europei, accecati dall’odio e dalla paura.

Lesbo è più vicina di quel che si pensi. Tutti possiamo essere Gunter.

Non ci sono frontiere da dover difendere, solo muri da abbattere e ponti da costruire.

#WelcomeRefugees

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