Mosul, Dyala, Erbil: Gli iracheni chiedono aiuto

16 Giugno 2014, 13:27

In corso di distribuzione i kit igienici preparati da Un ponte per… per rispondere all’emergenza nei villaggi di Bashiqa e Kara Qosh. In giornata saranno avviate le prime distribuzioni. Grazie ai primi fondi raccolti si è riusciti a predisporre una distribuzione di beni di prima necessità per molte famiglie delle minoranze cristiane e yazide fuggite nei giorni scorsi da Mosul.

Ma non si arresta l’emergenza in Iraq: secondo l’UNHCR il 99% degli sfollati rifugiatisi ad Erbil non può provvedere autonomamente all’alloggio per più di una settimana. La maggior parte di loro dorme nei parchi oppure elemosina per le strade. C’è un disperato bisogno di un tetto, di una tenda, di un rifugio di qualsiasi tipo. L’alternativa è rientrare da dove si è fuggiti, dove però manca praticamente tutto.

Mosul, da dove è partito un vero e proprio esodo di massa di oltre 500.000 persone a partire dal 6 giugno, è ormai totalmente sotto controllo delle milizie dell’ISIS (Stato islamico di Iraq e Sham (Damasco, ovvero Siria), anche noto con l’acronimo ISIL – Stato islamico di Iraq e Levante), che presenziano le strade principali con i veicoli rimanenti dell’esercito iracheno (anche elicotteri). Al momento, tuttavia, non risultano attacchi ai civili in città, anche se permane il coprifuoco e il divieto di muoversi liberamente con automezzi.

Scarseggiano d’altro canto tutti i servizi di base: in quasi tutti i quartieri, in particolare nella parte occidentale di Mosul, mancano sia l’acqua corrente che potabile. Quasi tutti i negozi sono chiusi e quei pochi rimasti aperti hanno esaurito le scorte di cibo e carburante, di cui la gente necessita urgentemente. Inoltre, l’elettricità è disponibile soltanto dalle 6 alle 10 ore al giorno.

La fuga di massa dei civili riguarda nel frattempo anche altre città. A causa dei violenti scontri tra forze irachene ed dell’ISIS, da Diyala, a nord-est di Baghdad, ieri sono andate via circa 1.000 famiglie, i cui individui sono quasi la metà bambini. Di queste, 250 si sono fermate a Khanaqeen, 100km più a nord, dove meno della metà è riuscita a trovare accoglienza presso familiari, mentre un centinaio di famiglie si ritrovano senza alternativa se non quella di ripararsi nelle stazioni o sotto i ponti, in attesa della fornitura di tende da parte delle agenzie ONU.

I restanti 750 nuclei famigliari si sono invece tutti diretti verso la regione del Kurdistan. Qui la gente continua ad arrivare (sono 300.000 le persone giunte fino ad ora). Nel governatorato di Erbil il campo transitorio di Khazar è ormai diventato a tutti gli effetti permanente ed ospita circa 500 persone, di cui più di 200 sono minori, alle quali gli operatori umanitari hanno messo a disposizione una tenda per famiglia, così come kit igienico-sanitari, cibo e acqua. Nelle aree urbane la situazione è radicalmente più critica: i dati dell’UNHCR già citati parlano da soli. Nell’area di Dohuk invece, dove si sono riversati i 2/3 degli sfollati arrivati in Kurdistan, l’allestimento dei campi sul sito di Garmawa continua, con la speranza che le tende e i servizi siano pronti il prima possibile.

In un contesto così instabile e incerto le condizioni sanitarie sono critiche: dal 10 giugno i servizi delle cliniche mobile dell’UNICEF e del WHO (Organizzazione mondiale della Sanità) sono stati incrementati, principalmente nell’area kurda. Lungo le code ai checkpoint, inoltre, stanno avendo luogo i vaccini obbligatori per tutti i bambini, in particolare contro i rischi di colera e poliomelite.

Nelle aree abitate dalle minoranze di Bashiqa, Bartella e Kara Qosh continuano ad arrivare gruppi di persona in cerca di aiuto. Le autorità locali stanno fronteggiando come possono l’emergenza. Mentre nelle aree cristiane sono arrivate più di 10 mila persone, nei villaggi abitati in prevalenza dalla minoranza yazida sono arrivate 1000 famiglie e la comunità locale ha concrete difficoltà a sostenerle.

La situazione è resa ancor più drammatica perché la maggior parte delle agenzie delle Nazioni Unite e delle ong è sotto finanziata. A parte i fondi di emergenza, per cui il Rappresentante Speciale del Segretario Generale Nickolay Mladenov, in visita ieri in Kurdistan si è impegnato a continuare a mettere a disposizione, la capacità di fornire assistenza umanitaria è a forte rischio.