#OpenBordersCaravan: la nostra solidarietà ai confini d’Europa

5 Ottobre 2015, 14:04

Sulla spinta dell’emergenza umanitaria che è giunta a lambire i confini dell’Unione Europea, anche Un ponte per… insieme alle numerose realtà della società civile del vecchio continente ha voluto portare la sua testimonianza per dare un segnale di solidarietà ai refugees, contrastando la propaganda di chi, in tempi di crisi e in modo strutturalmente funzionale, cerca di spostare il discorso politico, canalizzando le sofferenze sociali verso una guerra tra poveri.

Riteniamo che i presidi nati in questi mesi a Lampedusa come a Ventimiglia, passando per i Balcani, siano una presa di coscienza autentica e democratica di quella parte di società che individua nella crisi, nell’ austerity e nelle scellerate decisioni di politica estera dei Governi europei, i principali responsabili della drammatica situazione odierna. Questi presidi sono una risposta diretta alle narrazioni tossiche di chi alimenta lo spettro della paura per il diverso, ma anche un’azione concreta che vuole contrapporsi al dilagare dei “nuovi” nazionalismi e prendere parola sui temi dell’accoglienza, dell’integrazione e del diritto.

Un ponte per… ha aderito all’ International Call di movimenti sociali e associazioni antirazziste delle varie reti NoBorders che si sono date appuntamento a Lubiana la mattina di venerdì 25 settembre per esprimere un chiaro e netto rifiuto alle politiche di difesa e chiusura delle frontiere intrapresa dai governi balcanici.

Più o meno 200  tra attivisti e cooperanti internazionali hanno deciso di sfidare la governance europea annunciando di voler raggiungere la frontiera croato-ungherese per portare aiuti umanitari ai rifugiati e denunciarne le condizioni disumane nelle quali sono costretti a “viaggiare”: fuggendo da conflitti, morte e miseria, transitando per frontiere che offrono solo indifferenza, paura del diverso e bieco razzismo.

La manifestazione ha sfilato per le vie della città, occupando quella che in teoria era la piazza concessa nella stessa giornata agli ultranazionalisti, che quindi hanno dovuto spostare la loro “kermesse” di odio (Defend Our Borders) convocando un presidio davanti al parlamento sloveno.

Il corteo NoBorders  partecipato da migliaia di persone, con una composizione estremamente eterogenea, ha ridato voce a quell’aggregato sociale, democratico e antirazzista (assolutamente non minoritario nella società slovena) che ritiene che l’unica cosa “da dover difendere” sia la dignità degli esseri umani, rifugiati o semplicemente transitanti, senza alcuna distinzione.

Dal camion si sono alternati diversi interventi da parte di attivisti sloveni ed internazionali, migranti e della società civile, tutti orientati ad esprimere la loro testimonianza di solidarietà verso i refugees, annunciando l’intenzione di recarsi l’indomani verso i luoghi della discriminazione: quella “frontiera della vergogna” fatta di chilometri di filo spinato che si erge tra la Serbia, l’Ungheria e la Croazia… l’anticamera U.E.

Durante il viaggio la carovana è stata molto rallentata dai vari controlli frontalieri e dai numerosi posti di blocco sparsi sul territorio sloveno e croato, ma è riuscita ad arrivare alla stazione di Botovo (Croazia), crocevia di quella rotta balcanica che dal Sud della penisola trasporta i migranti fino al confine croato- ungherese, dichiarato chiuso da Orban, nella speranza di transitare poi verso l’Austria.

Il dato che emerge è che nonostante sia stata dichiarata la chiusura delle frontiere, l’emergenza è tale per cui, nessuno di questi Paesi può contenere ed ammassare sui propri confini migliaia di rifugiati per molto tempo senza permetterne il transito…  Le frontiere quindi sono già state sfondate dalla forza della disperazione dei profughi, ma anche e soprattutto dalla voglia di lottare di queste persone, la cui dignità non può essere intrappolata, nemmeno da chilometri di filo spinato.

Le forze di polizia croate in pratica, una volta arrivati i treni dalla Serbia, fanno scendere i migranti e li “accompagnano” lungo una strada che dalla stazione porta in un bosco limitrofo alla linea di confine con l’Ungheria. A questo punto, contravvenendo alle disposizioni dei loro stessi governi, lasciano più o meno che il flusso oltrepassi autonomamente la frontiera.

Questo “transito tollerato” di fatto, se da una parte garantisce una certa continuità al flusso di migranti, dall’altra impedisce e limita gli spazi di azione mediatica e di pratiche di conflittualità da parte degli attivisti internazionali. In pratica, per salvaguardare quel passaggio, gli stessi rifugiati vogliono evitare un eccessivo clamore o possibili tensioni con le forze dell’ordine per paura di ritorsioni.

Rimane un’immagine generale comunque estremamente vergognosa: all’arrivo del treno, centinaia di profughi, per lo più siriani, si affacciavano dal treno chiedendo : ”Dove siamo..?”, “Dove ci hanno portato..?”.

Centinaia di persone ignare della loro destinazione o di ciò che poteva attenderli all’arrivo, che erano state messe su un treno (da agenti che indossavano guanti e mascherine per evitare qualsiasi contatto) in condizioni igienico sanitarie precarie, senza acqua , cibo o vestiti adeguati alla temperatura.

Anche il meccanismo di selezione è saltato: donne, uomini, anziani e moltissimi bambini. Proprio il pianto dei neonati era il suono di sottofondo più diffuso di questa amara “sfilata” (insieme alle grida degli agenti croati  – MOVE! FASTER!! MOVE!!!) che si trascinava dalla ferrovia alla strada sterrata, dove erano stati posti sul percorso i beni di prima necessità consegnati anche dalla Carovana.

L’esperienza di attraversare con lo sguardo quel flusso di esseri umani che si facevano forza tra di loro, sorreggendosi nel proseguo del loro cammino è stato un impatto emotivo enorme. Scene già viste, che conosciamo tutti, che tutti possiamo conoscere e riconoscere. Scene tristemente ripetute nella storia, scene reali… ma di una realtà insopportabile.

C’erano madri che sceglievano accuratamente il cappottino per i bambini, ragazzi che ti sorridevano e “battevano il cinque” quando porgendogli una bottiglietta d’acqua gli dicevi: “ you are welcome…. Good luck !!!

Un’immagine su tutte: c’erano una madre e un padre, il figlio di 9 anni non era sceso dal treno, non c’era. Volevano aspettare il prossimo treno per aspettarlo, per cercarlo. Non gliel’hanno permesso. Gli agenti li hanno costretti a mettersi in marcia verso il bosco nonostante il pianto straziante e le grida disperate della donna. Un prezzo infinitamente alto da pagare, quando si scappa dalla guerra e dal terrore, un prezzo intollerabile quando quello che si cerca è riparo, accoglienza, rifugio per te e i tuoi cari.

 -“Per la nostra legge, voi non potete stare qui … MOVE!! MOVE!!”

L’Open Borders Caravan è stata un’esperienza utile anche a rafforzare quei legami tra chi in Europa sta lottando contro i rigurgiti xenofobi e nazionalisti sguinzagliati dalla governance europea, e che attraverso iniziative di solidarietà, campagne mediatiche e pratiche conflittuali condivise richiedono la costruzione di un nuovo e degno sistema di accoglienza, un transito sicuro e garantito per i profughi e il superamento del trattato di Shengen e del regolamento di Dublino.

Giacomo Capriotti
Volontario di Un ponte per…