Al Hol, il paradossale corridoio umanitario che dall’Iraq porta in Siria

23 Gennaio 2017, 10:42

Al Hol è un villaggio sperduto in un’area semideserta della Siria, a pochi passi dalla frontiera con l’Iraq. Negli ultimi mesi qui sono fuggiti migliaia di iracheni a seguito della battaglia di Mosul. Una delle possibili vie di fuga dalla città infatti porta solo verso la Siria.

Al Hol è un luogo tristemente noto perché qui sono rimasti bloccati per anni i palestinesi fuggiti dall’Iraq dopo il 2003 e che nessuno voleva accogliere. Per anni hanno atteso un paese ospitale. Il campo ha anche ospitato le centinaia di migliaia di iracheni che tra il 2006 e il 2008 sono fuggiti verso la Siria per non soccombere nella guerra civile che dilaniò il paese.

Poi il campo si è svuotato, e dopo il 2011 è diventato luogo di battaglie tra Daesh (Stato Islamico), le altre forze estremiste e i combattenti curdi. Oggi il campo è tornato a servire i rifugiati, invece di essere chiuso o di diventare un museo per la memoria. Con tutto il dolore che portano le sue mura e le sue strutture cadenti è stato riattivato per ospitare, a oggi, più di 15mila iracheni. In prevalenza minori, 2.500 a dicembre, 500 neonati. E donne.

Una popolazione in fuga dal Daesh, dopo averne subito l’occupazione per due anni. Il paradosso è che non possono fuggire in altre aree dell’Iraq, la strada più semplice è quella verso la Siria. L’amministrazione autonoma del nord-est siriano, l’area a maggioranza curda del paese chiamata Rojava, sta facendo uno sforzo eccezionale per accoglierli.

Le autorità locali stanno già ospitando centinaia di migliaia di sfollati interni siriani. E stanno assistendo le persone in fuga da Raqqa, in Siria. Non hanno né i soldi né la possibilità concreta di gestire un flusso di rifugiati da un altro paese. E invece ci danno una grande lezione di dignità e solidarietà. Il campo è stato riattivato, con il sostegno dell’Unchr.

al-hol-centrosanitario

Un ponte per… e la Mezzaluna Rossa Curda hanno costruito un centro di salute di base da campo che sta accogliendo ogni giorno centinaia di persone. Un’ambulanza delle due organizzazioni ogni giorno raggiunge il valico di frontiera tra Iraq e Siria di Rajm Sleby e da lì porta in ospedale o al campo i casi più difficili.

Ma al valico i controlli sono attentissimi. Il pericolo di infiltrazione di Daesh è alto. Spesso sono necessarie lunghe negoziazioni per portare in salvo le persone. Molte arrivano in condizioni disperate. Sono più di 100 i disabili arrivati negli ultimi mesi. E tra i bambini sono evidenti i molti casi di malnutrizione. Mancano molti generi di prima necessità e le sole cure mediche senza una adeguata infrastruttura di assistenza sono una risposta troppo limitata.

Gli operatori al campo di Al Hol e l’ambulanza in frontiera fanno i salti mortali per evitare il peggio a molte persone. Quando il servizio non c’era, a ottobre, su quella stessa frontiera sono morti due bambini. Casi del genere non si sono più verificati, ma siamo ancora lontani da un minimo di normalità. Nel campo le latrine sono in costruzione, l’acqua scarseggia in tutta la zona, cumuli di immondizia costellano le strade di polvere.

Donne e bambini si affollano nella sala d’attesa del nostro centro sanitario perché è uno dei pochi luoghi protetti, anche quando non hanno bisogno di una visita. Per le emergenze le ambulanze della Mezzaluna Rossa Curda corrono all’ospedale di Hassake, distante 50 chilometri, ma anche lì la situazione è drammatica. Dalla Siria sono fuggiti migliaia di medici, e i pochi ospedali rimasti aperti sono al collasso.

In questo groviglio di equilibri molto fragili si stanno muovendo la parte di sfollati che da Mosul cerca salvezza verso la Siria. Il governo iracheno ha promesso che garantirà il loro rientro. Ma a oggi i numeri del campo aumentano di giorno in giorno, e il campo sta diventando sempre più grande. Ai rifugiati iracheni si stanno aggiungendo gli sfollati siriani provenienti da Deir el Zorr, altra città in cui si sta combattendo contro Daesh.

La generosità dei siriani in tutto questo rimane encomiabile. Un paese che ha visto fuggire all’estero 4 milioni e mezzo di persone e che ha più di 8 milioni di sfollati accoglie chi fugge dal vicino Iraq. E non c’è tempo né voglia di gridare all’invasione. Ma solo la necessità di aiutare chi ha bisogno.

Domenico Chirico – Un ponte per…