1999-2019. Vent’anni dopo la guerra “umanitaria”

21 Marzo 2019, 12:27
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La delegazione di Un Ponte Per… manifesta sul ponte Brankov, a Belgrado. Maggio 1999.

All’epoca si parlò del “paese dei ponti spezzati“. Perché in Yugoslavia, oltre alle vittime civili e alla distruzione di città, villaggi, edifici, infrastrutture, la guerra portò la distruzione di decine di ponti. Sessantadue quelli ridotti in macerie, tra cui quello che sarebbe diventato il simbolo della guerra stessa: il ponte di Mostar.

Ponti distrutti perché simbolo di unione tra comunità e popoli. Ponti che in questi 20 anni abbiamo continuato ogni giorno a ricostruire.

Tra il 24  marzo e il 10 giugno 1999 la Yugoslavia viene sottoposta a martellanti bombardamenti aerei della NATO: è la cosiddetta “guerra umanitaria“, lanciata in modo illegale con il pretesto di liberare il paese dalla dittatura di Milosevic.

A quel conflitto, l’Italia prende parte direttamente. Concede l’uso delle sue basi militari e partecipa ai bombardamenti aerei. A portare il nostro paese in guerra è un governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema.

In reazione alla guerra il Movimento per la pace si mobilita davanti alle basi militari, al Parlamento, riempiendo le piazze d’Italia: quella dell’emergenza umanitaria in Kosovo appare da subito un tentativo propagandistico di tingere di umanitario una guerra di aggressione.

In quei lunghi anni, decine di migliaia di cittadine e cittadini italiani si schierano dalla parte delle vittime della guerra, di qualsiasi etnia e religione, cercando di sostenere la popolazione civile, i disertori, le forze pacifiste e femministe schierate contro i governi nazionalisti.

Moltissimi/e ragazzi e ragazze italiani/e – alcuni dei quali perderanno la vita sul campo – si cimentano in un’opera di solidarietà arrivando anche all’interposizione nonviolenta tra le parti.

Tra loro, c’eravamo anche noi.

Nel 1999, a un mese dall’avvio della guerra, nasceva la campagna di raccolta fondi “Un ponte per Belgrado”, che si proponeva di creare presidi sanitari, inviare medicinali e aiuti umanitari ad oltre 10 mila persone sfollate.

La campagna di raccolta fondi "Un ponte per Belgrado" lanciata nel 1999.

La campagna di raccolta fondi “Un ponte per Belgrado” lanciata nel 1999.

Per assicurare assistenza e scolarizzazione a bambini e bambine che nella guerra avevano perso tutto, veniva avviato il progetto di Sostegni a distanza “Svetlost“. Un progetto che ancora oggi è attivo, e che ha continuato in questi 20 anni a sostenere bambine e bambini garantendo loro il diritto allo studio.

La nostra solidarietà è proseguita poi con la campagnaDona una serra, per destinare alle famiglie più bisognose serre con cui rendersi economicamente indipendenti.  E abbiamo continuato ad organizzare viaggi di conoscenza nel paese, ogni anno.

Ponti ricostruiti, dove la guerra li aveva distrutti. 

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L’appello di Un Ponte Per… del 1999
Appello urgente
UN PONTE PER BELGRADO
Un treno colpito in pieno, decine di ponti abbattuti, strutture produttive rase al suolo, riserve di combustibile distrutte, migliaia di operai senza più lavoro, un’economia, già depressa da anni di embargo, azzerata dalle bombe.  E cominciano a mancare medicinali negli ospedali.Dopo oltre un mese di bombardamenti cominciano a filtrare anche altre immagini delle conseguenze della guerra alla Yugoslavia: non sono solo profughi in fuga, ma bambini, uomini, donne uccisi e feriti dalla guerra.Sono le vittime “invisibili”, come invisibili sono migliaia di bambini che muoiono ogni mese in Iraq per l’embargo o sotto i bombardamenti che continuano quasi quotidianamente. E’ un intero popolo in trappola.Questo scenario noi lo abbiamo già visto, in Iraq, da nove anni: dopo Baghdad, Belgrado?Sappiamo che i popoli non possono mai essere nemici. Che il trasformare un paese intero in ”nemico” non costruisce la pace, ma pone le premesse per nuovi conflitti e sofferenze.Mentre chiediamo ancora una volta che i bombardamenti cessino e tacciano le armi, chiediamo di essere solidali con tutti i popoli della Yugoslavia.L’associazione Un ponte per…, mentre già sta inviando aiuti per i profughi, lancia una campagna di raccolta fondi per l’invio di medicinali e presidi sanitari per chirurgia di emergenza negli ospedali della Yugoslavia. Aprile 1999 

 

La guerra durerà 3 mesi. In oltre 2.300 bombardamenti verranno colpite città e villaggi, distrutti 150 edifici, 176 monumenti, 300 scuole, 62 ponti.

Le vittime civili saranno 2.500, di cui 89 bambini e bambine. Molte di più quelle negli anni a venire, a causa delle radiazioni provocate dall’impiego di bombe all’uranio.

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Il volantino distribuito per invitare alla raccolta fondi