Tra i vicoli di Shatila, dove si può tornare a scuola

25 Settembre 2019, 15:51

Grazie alla nostra campagna “Scuola per tutt@”, e al sostegno di tante persone che hanno donato, 57 bambine e bambini siriani e palestinesi rifugiati in Libano potranno frequentare le classi di sostegno per la prevenzione dell’abbandono scolastico. Tra loro anche Aya, che abbiamo incontrato nella nostra ultima missione nel paese.




Quando abbiamo incontrato Aya, pioveva a dirotto a Beirut. Lei sedeva timidamente su una sedia nell’ufficio del Centro Assomoud nel campo profughi di Shatila. Un po’ ranicchiata e con i piedi che non arrivavano a toccare il pavimento. Estremamente timida e dolcissima come il suo sorriso.

La coordinatrice del Centro le aveva detto che a settembre avrebbe iniziato a frequentare la classi di sostegno e che le insegnanti si sarebbero prese cura di lei e l’avrebbero aiutata a studiare meglio e a fare i compiti insieme.

Ci ha salutato in inglese con una sfrontatezza solo apparente e per giustificarsi poi ci ha detto che l’inglese è la sua materia preferita.

Quando ha spiovuto siamo uscite dal Centro Assomoud, voleva portarci in giro un po’ per il campo di Shatila, la sua casa. Lei davanti, noi dietro.

Ogni tanto si girava per controllare che ci fossimo, per sorriderci come a rassicurarci e poi di nuovo dritta, tra i mille vicoli labirintici che conosceva a memoria. Aveva spiovuto dal cielo ma non dalle tettoie, dai cavi elettrici, dai fili per stendere.

E in questi vicoli striminziti, dove non si riesce a camminare se non in fila indiana, abbiamo incrociato motorini abbandonati, bambini, ragazzini in motorino che sfrecciavano con bidoni di acqua potabile, voci che provenivano dalle case, un gattino spelacchiato bagnato dalla pioggia e dal fango. Un’umanità vivace e caotica che Aya attraversava e scansava con sapienza e calma.

Alla fine dei vicoli siamo sbucate nella strada dei negozi. Larga abbastanza da farci passare anche un’automobile. E lì le auto che passano sono per lo più piccoli van, apecar o motorini a tre ruote con il portatutto dietro. Tutti trasportano sempre qualcosa.

Ma i motorini portano sempre i bidoni blu, quelli dell’acqua potabile. Anche a casa di Aya, dove alla fine ci ha portato. La mamma era con la sorellina neonata di Aya che subito l’ha presa in braccio mentre la madre faceva gli onori di casa. Due stanze in una palazzina di tre piani senza finestre.

Lo chiamano ancora campo profughi, anche se le tende da campo hanno lasciato spazio a palazzi in cemento che arrivano fino a 9 piani. Perché se il campo non può estendersi per non contravvenire alle leggi libanesi, allora cresce in altezza per fare spazio ad una popolazione che a Shatila è raddoppiata dall’inizio del conflitto in Siria.

In Libano le bambine e i bambini rifugiati sono mezzo milione. La metà di loro non va a scuola.

Nonostante la popolazione palestinese rifugiata viva in Libano dal 1948, le bambine e i bambini non godono ancora degli stessi diritti dei libanesi. Con l’arrivo di oltre 1 milione di persone in fuga dalla Siria negli ultimi 8 anni la situazione è peggiorata. Tra gli adolescenti c’è il più  basso tasso di iscrizione, solo 1 su 4 frequenta la scuola.

Le materie preferite di Aya sono l’inglese e l’arabo. Le piace studiare. Ce lo dice anche davanti alla madre e diventa quasi un giuramento. La prima volta che l’abbiamo incontrata ci ha detto che non le piaceva il campo “perché ci sono tanti problemi”.

Con l’inizio della scuola, quest’anno inizierà a frequentare le classi di sostegno per l’intero ciclo scolastico grazie alla campagna “Scuola per tutt@” di Un Ponte Per.

Studierà meglio, con qualcuno che la segue quando inciamperà e che la motiverà quando ne avrà bisogno. Perché tra i vicoli che ogni giorno percorre è più facile perdersi che uscirne. E la scuola è un buon posto dove trovare rifugio, scoprire con i giusti tempi i propri talenti e costruire un futuro diverso.

Buona fortuna Aya!