Covid-19. Cosa succede in Siria?

16 Aprile 2020, 16:46

Prosegue il nostro lavoro di aggiornamento sulla diffusione del Covid-19 nei paesi in cui operiamo, e nei quali abbiamo scelto di restare presenti. Oggi parliamo della situazione nella Siria del Nord Est, dove dal 2015 lavoriamo a fianco dei nostri partner, tra cui la Mezzaluna Rossa Curda, alla ricostruzione del sistema sanitario devastato dalla guerra. Qui, dove gestiamo 15 tra cliniche e ospedali, ci stiamo preparando a rispondere, come possibile, alla diffusione del contagio. Ma in un contesto di guerra la situazione è doppiamente complessa.

In tutto il territorio della Siria ad oggi risultano dichiarati 29 casi di contagio da Covid-19 e 2 vittime (dati aggiornati al 16 aprile). Tuttavia, ci sono motivi per ritenere che i casi siano molti di più, e che il regime siriano non li stia rivelando. Diverse organizzazioni internazionali, tra cui IRC e OMS, hanno lanciato l’allarme sin dai primi giorni di marzo: se il virus dovesse diffondersi nel paese, già provato da 8 anni di guerra, con strutture sanitarie distrutte e una popolazione sfiancata e in gran parte sfollata, sarebbe una catastrofe senza precedenti.

Noi siamo operativi/e nell’area del Nord Est, dove la situazione è di altissima vulnerabilità soprattutto in seguito all’offensiva militare lanciata dalla Turchia nell’ottobre 2019. Si stima che ci siano ancora 70.000 persone sfollate come diretta conseguenza di quell’attacco, e solo 1 dei 16 ospedali presenti è completamente funzionante. Sin dai primi giorni di crisi l’Amministrazione autonoma del Rojava, ha stabilito un coprifuoco: ci sono limitazioni alla mobilità e i negozi sono quasi tutti chiusi. Condizioni simili a quelle del resto del mondo, ma in un contesto di guerra.

In questa situazione è particolarmente complesso avere dati affidabili e aggiornati, così come far entrare attraverso i confini beni ed equipaggiamenti medico-sanitari.  Al momento, su una popolazione di circa 3 milioni di persone (solo nel Nord Est) non esistono posti letti di terapia intensiva.

Per questo, a fianco dei nostri partner, primo fra tutti la Mezzaluna Rossa Curda, abbiamo scelto di investire tutte le nostre forze per condurre campagne di prevenzione secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, e per attrezzare posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva.

Sul territorio gestiamo 15 tra ospedali e cliniche, da Raqqa ad Amuda, da Derek alle aree di Al Hol e Kobane, e in questo momento tutte le nostre strutture sono concentrate nella risposta alla pandemia globale, attraverso sessioni di sensibilizzazione sull’igiene personale e sul distanziamento sociale, e anche attraverso il monitoraggio delle condizioni dei pazienti che riceviamo, per cercare di capire se c’è di fatto un incremento delle sindromi respiratorie o di quelle paragonabili all’influenza.

Naturalmente, anche il nostro lavoro è limitato da blocchi, chiusure dei confini, limitazioni. Ce lo racconta nel dettaglio in questo video il nostro operatore, Luca Cafagna.